L’emergenza epidemiologica ha messo in ginocchio il tessuto imprenditoriale del nostro Paese causando un aumento esponenziale di aziende insolventi. A poco sono serviti gli strumenti predisposti dal legislatore per il sostegno delle aziende mentre resta prioritaria una revisione del nuovo Codice della crisi di impresa. Ad affermarlo sono Barbara Fasoli Braccini e Andrea Migliarini, partner di MFB Partners.
Qual è l’impatto dell’emergenza sanitaria sul settore della crisi d’impresa?
La situazione di criticità che ha colpito il nostro Paese ed il mondo intero ha generato nei mesi scorsi un «diritto dell’emergenza sanitaria» a supporto delle imprese, gravate da un considerevole calo di domanda che ha finito per causare la paralisi di molte attività, peraltro con una devastante incertezza che presidia il futuro.
La normativa così sviluppata si presenta purtroppo disorganica e mal integrata nel sistema oltreché incapace di ripristinare il necessario clima di fiducia e di speranza per accendere in tempi rapidi il motore della ripresa.
Di certo ad oggi le insolvenze si sono moltiplicate; ma non possiamo nascondere che la scelta dell’antidoto, inteso come procedura concorsuale più consona al caso specifico, anche per noi operatori del settore è divenuta particolarmente delicata proprio a causa dell’alea sul futuro. Tutto ciò di certo rende tutt’altro che agevole la pianificazione di una eventuale continuità, su cui peraltro deve pronunciarsi l’Attestatore, chiamato ad un compito arduo, dovendo esprimersi sui costi e ricavi previsti e sulla tenuta del Piano, da sottoporre al vaglio di stress test, frequentemente destinati ad abortire le speranze dell’Imprenditore che vorrebbe sopravvivere, magari dopo aver dedicato la propria esistenza al lavoro
e all’azienda.
Quali sono gli strumenti a disposizione delle aziende per prevenirla?
Parlare di “prevenzione” della crisi d’impresa in tempi di emergenza sanitaria è tutt’altro che agevole, anche in quanto realisticamente il tempo trascorso dall’inizio della pandemia, in cui l’imprenditore, di fatto, è stato abbandonato a se stesso, ha già compromesso le sorti di tante aziende, motivo per cui sarebbe più opportuno, ragionevolmente, parlare di come scongiurare la chiusura.
È sottinteso che per i fortunati che ancor’oggi si trovano a galla sarà fondamentale monitorare con spasmodico rigore l’andamento aziendale facendo in modo di conservare il doveroso equilibrio tra costi e ricavi previsti, anche con l’ausilio degli (insufficienti) strumenti che il legislatore ha approntato a supporto delle imprese (cassa integrazione, sospensioni di mutui e versamenti fiscali, ristori, proroghe varie).
Per i malcapitati che già nuotano negli abissi dello stato di crisi sarà determinante fare tempestivo ricorso alla procedura concorsuale più adeguata per garantire la continuità, prevedendo, nel contesto del Piano, un saggio utilizzo delle cosiddette operazioni straordinarie (affitto, cessione, conferimento, fusione, scissione), che a nostro avviso risultano oggettivamente più funzionali al conseguimento di detto obbiettivo, essendo pacifico che la sussistenza di due soggetti giuridici consenta di: a) plasmare Piani con divaricazione del rischio e monitorare più agevolmente l’andamento dell’impresa (soprattutto quando il soggetto che prosegue l’attività è emanazione di quello in crisi); b) valorizzare la posizione dei soci e dei titolari di strumenti partecipativi.
Quali le prospettive del settore nei prossimi mesi?
La legislazione attualmente vigente a presidio della crisi d’impresa è quella del R.D. 16 marzo 1942 n° 267 come più volte modificata dal 2005 in avanti.
In epoca di Covid abbiamo assistito, tra l’altro: all’anacronismo del nostro legislatore (intervenuto per modificare alcune norme del nuovo Codice della crisi di impresa che verrà); alla proroga dei termini di adempimento delle procedure già omologate; alla rimodulazione dei concordati e degli accordi di ristrutturazione non ancora omologati; alla proroga della cosiddetta «fase in bianco»; alla proroga della sospensione delle procedure esecutive e cautelari prevista dall’art. 182 bis Legge fallimentare;
alla trasformazione del nostro legislatore, diventato “cardiochirurgo”, avendo espiantato dal nuovo Codice della crisi di impresa alcune norme per poi trapiantarle nella normativa vigente (come si è verificato per i recenti aggiornamenti degli artt. 180 Legge fallimentare, 182 bis, 182 ter Legge fallimentare, ovvero per l’anticipata applicazione della riforma in tema di sovraindebitamento).
Quanto alle prospettive del settore “crisi d’impresa” è fuor di dubbio che le stesse siano incontestabilmente ancorate alla capacità del nostro legislatore di comprendere la realtà del Paese e delle nostre imprese, in quanto è pacifico che l’attuale struttura del nuovo Codice della crisi di impresa in alcune norme cardine risulti espressione di una visione utopistica sia dello stato della stragrande maggioranza delle imprese, sia del contesto economico-finanziario nonchè sociale che da anni stiamo vivendo, sia della ben nota lentezza che presidia le procedure concorsuali e più in generale la soluzione delle situazioni di crisi.
È auspicabile che la chiamata alle armi del Prof. Mario Draghi possa finalmente essere il segnale di una primavera di riforme intelligenti (in primis nel settore giustizia e della crisi d’impresa, su cui da decenni grava il virus dell’incertezza del diritto e della giurisprudenza), che possano intercettare le effettive esigenze del Paese ed adeguare la legislazione al mondo d’oggi e, soprattutto, di domani, evitando così, nell’ambito di una auspicata rivoluzione culturale, che l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 si trasformi in una incurabile, cronica e perdurante emergenza economico-finanziaria.