Crisi sociale, politiche attive imprescindibili

Le politiche attive sono imprescindibili per evitare lo scoppio di una crisi sociale. Non basta una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, serve infatti una pianificazione della riqualificazione dei lavoratori inoccupati.

Le politiche attive sono imprescindibili per evitare lo scoppio di una crisi sociale. Non basta una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, serve infatti una pianificazione della riqualificazione dei lavoratori inoccupati. Lo afferma Francesco Amendolito, founder di Amendolito & Associati.

È passato oltre un anno dall’insorgere dell’epidemia in cui si sono susseguiti diversi interventi emergenziali in materia di diritto del lavoro. Si sono rivelati adeguati per imprese e lavoratori?
Per rispondere adeguatamente a questa domanda bisogna fare una precisazione, innanzitutto. Gli interventi emergenziali susseguitisi durante i primi mesi dell’emergenza erano dettati dall’arrivo improvvisato di una pandemia globale, certamente difficile da gestire. Attualmente il nuovo ministro ha senza dubbio il dovere di attuare un cambio di passo, non solo in relazione alla criticabilità degli interventi emergenziali adottati dal suo predecessore. Ma anche, e soprattutto, perché è passato oltre un anno dall’insorgere della pandemia e non è più sostenibile una situazione di totale blocco dell’impresa. Urgono degli interventi che guardino al futuro del Paese, che predispongano le possibilità per una ripresa del settore imprenditoriale. Ad esempio, se il blocco dei licenziamenti risultava già un intervento discutibile durante i primi mesi della pandemia, ad oggi le sue proroghe sono inaccettabili. Ancor di più se si pensa alla recente dichiarazione del ministro che prevede un’ulteriore proroga del divieto di licenziamenti, al 31 ottobre, per quei settori privi della copertura degli ammortizzatori ordinari. Se si dovesse attuare una simile intenzione, si farebbe gravare ulteriormente il costo sociale della pandemia sui datori di lavoro e non sullo Stato. Non solo tale tipologia di interventismo statale non agevola la ripresa economica delle imprese, le quali si ritrovano a dover far bilanciare una riduzione dei ricavi con il persistente e intangibile costo del lavoro. Inoltre, il blocco dei licenziamenti opera anche nei confronti di quelle imprese che già prima dello scoppio della pandemia avevano una necessità ontologica di licenziare, motivata da riorganizzazioni aziendali, concordati e altro. È evidente, quindi, che tali circostanze influiscono anche sull’incapacità del settore produttivo italiano di tenere il passo con il progresso.

Quali misure prioritarie dovrebbe mettere in campo il ministro Orlando per favorire lo sviluppo delle imprese da un lato ed evitare lo scoppio di una crisi sociale dall’altro?
Per prima cosa, vorrei sottolineare che per evitare lo scoppio di una crisi sociale è necessario ed imprescindibile favorire lo sviluppo delle imprese. Perché è solo attraverso la loro ripresa che si può attuare un piano strategico per la rinascita del Paese. Tra le misure prioritarie, che necessariamente devono essere attutate, vanno annoverati gli interventi in ambito di ammortizzatori sociali e politiche attive. Con riferimento agli ammortizzatori sociali, è palese che sia fondamentale una sistemazione della disciplina, probabilmente un Testo Unico; poiché ad oggi ci si rifà ad una normativa frastagliata e di difficile applicazione. Ma non si pensi che sono gli ammortizzatori sociali lo strumento adeguato ad evitare lo scoppio di una crisi sociale. Imprescindibili e di immane importanza sono le politiche attive del lavoro. Urge limitare i danni che l’emergenza sanitaria ha perpetrato nei confronti di un livello di disoccupazione già estremamente preoccupante. A tal fine, sarà necessaria anche una pianificazione per la riqualificazione dei lavoratori inoccupati che permetta loro di acquisire skills nuove e spendibili nell’attuale mercato del lavoro. Una confacente riforma delle politiche attive deve passare dall’attuazione di quei principi di formazione continua e apprendimento permanente tanto millantati in svariate normative, ma mai adeguatamente applicati. All’ordine del giorno del ministro Orlando, si auspica ci sia anche l’emanazione di un quadro normativo che conceda maggiore flessibilità alle imprese. In tal senso, non può essere taciuta la necessaria modifica alla disciplina del contratto a termine poco elastica e flessibile; del pari, con riferimento alla contrattazione di secondo livello. Ci si augura che il governo rappresenti un supporto alle realtà aziendali che stanno ponendo in essere con grande sforzo delle riorganizzazioni aziendali nel tentativo di ripresa. Infine, dovranno arrivare anche risposte compiute in merito alla necessaria transizione verso la digitalizzazione del mondo del lavoro e verso la green economy, che ormai rappresentano un cardine imprescindibile per lo sviluppo.

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