Superare il Decreto Dignità che ha paralizzato l’utilizzo del contratto a termine. Ma serve anche un sistema coerente di ammortizzatori sociali universali che garantisca pari tutele a tutti i lavoratori e un sistema efficace di politiche attive del lavoro, per una concreta riqualificazione professionale del lavoratore. Indispensabile, poi, agevolare le cooperazioni pubblico-privato per evitare sprechi di risorse pubbliche. È la ricetta che propone Angelo Zambelli, co-managing partner di Grimaldi studio legale.
È passato oltre un anno dallo scoppio dell’epidemia, gli interventi in materia di lavoro a suo avviso si sono rivelati adeguati per imprese e lavoratori?
Come testimoniano i dati sull’occupazione durante il periodo emergenziale, tra cui spicca il mancato rinnovo di circa quattrocentomila contratti a termine, il blocco per legge dei licenziamenti economici non ha garantito in maniera efficace la tutela dei posti di lavoro. Anzi, con ogni probabilità produrrà l’effetto contrario. L’aver paralizzato in maniera generalizzata e non selettiva il potere delle imprese di organizzare la propria struttura produttiva, impedendo a tutte loro di adattarsi alle mutevoli esigenze del proprio mercato di riferimento, comporterà, dopo l’ineluttabile fine del blocco uno shock occupazionale ben peggiore di quello che vi sarebbe stato in assenza di una simile misura. Inoltre, è stata molto discutibile la scelta del Governo di elargire risorse pubbliche a pioggia mediante gli strumenti passivi d’integrazione salariale: sarebbe stato senza dubbio più efficace consentire la riorganizzazione delle imprese e, al contempo, tutelare i lavoratori in esubero rinforzando strumenti di supporto già esistenti, quali la Naspi, anche solo allungandone il periodo di godimento in questo periodo eccezionale. In definitiva, a causa delle scelte del Governo, si è registrata una vera e propria stagnazione del mercato del lavoro non solo in uscita, ma anche in entrata, dove a fare le spese della paralisi delle assunzioni sono state le categorie di lavoratori più fragili, ossia le donne ed i giovani. Se guardiamo in retrospettiva, sono stati mesi perduti per innovare il mercato del lavoro, per introdurre nuovi strumenti anche di ammortizzazione sociale, purché “produttiva”, non tesi a difendere ciò che non c’è più, ma a finanziare un futuro occupazionale e professionale di quasi tre milioni di lavoratori: infatti ai percettori del Reddito di cittadinanza devono aggiungersi 1.400.00 di lavoratori attualmente collocati in Naspi o DisColl.
Quali misure prioritarie dovrebbe introdurre il Ministro Orlando?
In primo luogo, è più che evidente come le numerose deroghe temporanee al Decreto Dignità introdotte durante la pandemia dimostrino in maniera plastica l’inutilità, e anzi il vulnus causato all’intero sistema produttivo del nostro Paese, da tale legge. Com’è noto si tratta di una normativa varata nel 2018 – della quale non si sentiva in alcun modo la necessità, posto che la liberalizzazione dello strumento del contratto a tempo determinato, iniziata nel 2014 con il Decreto Poletti e proseguita con il Jobs Act del 2015, aveva prodotto risultati tangibili in termini di incremento dell’occupazione – che ha introdotto causali obbligatorie di difficile attuazione per il ricorso a contratti a termine di durata superiore a 12 mesi. Il Decreto Dignità ha di fatto paralizzato l’utilizzo del contratto a termine successivamente a tale ristretto periodo, pur mantenendo la teorica possibilità di proroga o rinnovo fino ad un massimo di 36 mesi, ormai del tutto impercorribile. È probabilmente giunta l’ora di prendere atto dell’errore e di abolire l’obbligo delle causali, anche e soprattutto alla luce di un dato incontrovertibile: nel 2020 sono stati attivati 1,4 milioni in meno di contratti a tempo determinato, che costituiscono la formula prevalente di accesso al mercato del lavoro nel 70% dei casi. Occorre, inoltre, cogliere l’occasione per mettere a punto un sistema coerente di ammortizzatori sociali universali, garantendo pari tutele economiche e normative a tutti i lavoratori. È imprescindibile, infine, per evitare che la fine del blocco dei licenziamenti inneschi un’emergenza sociale, approfittare dei prossimi mesi per realizzare finalmente un sistema efficace di politiche attive del lavoro, che garantisca una concreta riqualificazione professionale e il reinserimento nel mondo del lavoro dei lavoratori che, inevitabilmente, verranno espulsi nel corso dell’anno. Si tratta di rimeditare profondamente il concetto stesso di politiche attive, stimolando le occasioni di cooperazione con il settore privato, per evitare che in futuro si assista a plateali sperperi di fondi pubblici, come avvenuto nel recente passato con il fallimentare progetto dei “navigator”.