Malasanità, quando la specializzazione è d’obbligo

La pandemia ha avuto un effetto devastante sul sistema sanitario nazionale. A farne le spese sono stati il personale medico, costretto a gestire un’emergenza senza precedenti e con risorse, sia economiche che umane, fortemente ridimensionate, e tutti i pazienti con patologie preesistenti e non riconducibili al coronavirus.

La pandemia ha avuto un effetto devastante sul sistema sanitario nazionale.
A farne le spese sono stati il personale medico, costretto a gestire un’emergenza senza precedenti e con risorse, sia economiche che umane, fortemente ridimensionate, e tutti i pazienti con patologie preesistenti e non riconducibili al coronavirus. Le cure per quest’ultimi, infatti, stando ai dati dell’Agenzia sanitaria nazionale delle Regioni, hanno subito un brusco calo, con punte del -30% per alcune malattie oncologiche. A tracciare questo drammatico quadro della situazione sanitaria nel nostro Paese, a poco più di un anno dallo scoppio della pandemia, sono gli avvocati Franco Di Maria e Vincenza Pinò, rispettivamente fondatore e partner dello Studio Legale Di Maria. L’insegna è specializzata in casi di malasanità, un settore che, soprattutto nell’ultimo anno, ha visto una crescita esponenziale e che, come sostengono i due avvocati intervistati da Le Fonti Legal, impone un’elevata ed esclusiva specializzazione, accompagnata da una spiccata “sensibilità” data proprio dalla materia che tratta, ovvero la salute.
Ciò che ostacola la comprensione di questa branca del diritto è, però, la normativa che la regola: la legge Gelli-Bianco, entrata in vigore quattro anni fa, è tutt’ora considerata altamente contraddittoria ed estremamente fuorviante. Di Maria e Pinò ne denunciano le lacune interpretative e la mancanza di molti, fondamentali, decreti attuativi.

Avvocato Di Maria, il vostro è uno studio legale specializzato esclusivamente in responsabilità professionale sanitaria. Perchè la scelta di occuparvi in via esclusiva di “malasanità”? E come è organizzata la vostra attività?
Vincenza Pinò ed io coordiniamo un gruppo di circa trenta professionisti tra avvocati, medici legali e medici specialisti. Uno studio legale che si occupa di responsabilità sanitaria deve necessariamente avere un team di medici specialisti in grado di valutare, con un elevatissimo gradiente di probabilità, la sussistenza o meno dell’errore medico. Alla fine di una accurata verifica medico legale soltanto un 3, 4 per cento dei casi che ci vengono sottoposti supera il test di fondatezza. L’episodio di “malasanità” diventa allora per noi “procedibile”, il che significa che iniziamo tutte quelle attività legali che, auspicabilmente, porteranno alla liquidazione del danno in favore dei nostri assistiti. Questa attenta, direi maniacale, verifica iniziale ci consente di raggiungere un elevato numero di successi e di non esporre mai i nostri assistiti al rischio di una lite temeraria.
Aggiungo, per rispondere compiutamente alla sua domanda, che il settore della responsabilità professionale medica è così delicato, così complesso, così mutevole nell’elaborazione giurisprudenziale, da richiedere avvocati specializzati in questa specifica branca del diritto, avvocati cioè che operino in via esclusiva in questo ambito, un ambito in cui si è a contatto con la sofferenza delle persone che bisogna conoscere e capire e, possibilmente, non deludere. Per questo, nel nostro studio, abbiamo sempre davanti persone, mai fascicoli.

Avvocato Pinò, una causa di responsabilità medica richiede la possibilità di disporre di ingenti risorse finanziarie per avvocati, medici legali, medici specialisti, per i consulenti del giudice che, evidentemente, non può decidere senza il parere di esperti. Qual è la vostra posizione a riguardo?
Da sempre il nostro studio opera nell’interesse delle vittime di ordinaria ingiustizia. Ricordo che l’avvocato Di Maria ha seguito per oltre 20 anni l’Associazione dei parenti delle vittime di Ustica guidata dall’onorevole Daria Bonfietti. Si trattava di quell’aereo colpito da un missile nel cielo di Ustica con oltre 80 vittime. Ecco, noi crediamo che l’accesso alla giustizia sia un diritto da salvaguardare concretamente, nel quotidiano, specialmente in materia di diritti fondamentali come quello alla salute. Molto spesso, invece, c’è uno scarto troppo netto tra solenni dichiarazioni di principio (anche di rango costituzionale) e la concreta realtà di ogni giorno. Insomma troppo spesso il diritto più forte è quello dei più forti.
Noi crediamo fermamente nel “diritto di avere diritti”, come avrebbe detto Stefano Rodotà e, proprio per questo sosteniamo tutte le spese necessarie per avvocati, medici, consulenti del giudice e concordiamo con i nostri assistiti un compenso che viene determinato a percentuale sul valore dell’affare, come stabilito dall’art. 25 del codice deontologico forense. Questo compenso ci viene corrisposto solo ed esclusivamente in caso di vittoria. In questo modo diamo la possibilità a tutti, anche a coloro che non sarebbero mai in grado di affrontare le ingenti spese necessarie per un processo, di tutelare i loro diritti. Per quanto ci riguarda poi, è evidente che, sostenendo le spese che nessuno rimborserà mai perdendo la causa, crediamo fermamente nel buon esito del processo e ci impegniamo al massimo per conseguirlo.

Operate in tutta Italia o solo a Roma?
Il nostro studio opera in tutta Italia grazie a una collaudata rete di avvocati domiciliatari e ai sempre più frequenti collegamenti da remoto offerti dalle principali piattaforme presenti sul mercato. Il nostro assistito deve venire nel nostro studio romano una sola volta: per firmare il contratto e la procura necessari per iniziare la causa. Siamo noi poi che ci spostiamo ad ogni udienza nella sede del Tribunale competente.
Avvocato Di Maria, cosa l’ha portata a strutturare lo Studio in difesa dei diritti dei più deboli?
L’esperienza concreta dei diritti fondamentali (e quello alla salute è indubbiamente tra i più rilevanti) ci racconta che la marcia delle disuguaglianze si è fatta irresistibile. Basta guardare alla prevenzione nell’era del Covid 19: oggi la prevenzione è, ancor più di ieri, un affare per ricchi. Noi non ci proponiamo di cambiare il mondo ma non possiamo tollerare il silenzio sui diritti. E, dunque, guardiamo alla dimensione dei diritti cercando, senza alcuna retorica e nel nostro piccolo, di riportarli alla ribalta, di restituire ad essi quella “carne” e quel “sangue” che troppo spesso le solenni affermazioni di principio non hanno. Cerchiamo, insomma di rendere effettivo l’esercizio del diritto alla salute, troppo spesso un diritto di carta, promesso dalla legge ma spesso non garantito per davvero.

Lei è membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Salute e legalità istituito da Eurispes e dall’Enpam, l’Ente nazionale previdenza e assistenza medici. È questo un osservatorio privilegiato per monitorare lo stato di salute del sistema sanitario italiano?
Senza alcun dubbio. Il Comitato Scientifico presieduto dal dottor Vincenzo Macrì, già viceprocuratore nazionale presso la Direzione nazionale antimafia, è composta da magistrati, politici, sociologi, avvocati, professori universitari, comandanti della Guardia di finanza e dell’Unità speciale dei carabinieri, da giornalisti, economisti e cosi via.
Questo crogiolo di conoscenze di altissimo profilo, permette un interscambio di dati, di opinioni e di esperienze di valore veramente inestimabile. Le nostre esperienze vengono poi annualmente cristallizzate in un Rapporto sulla galassia sanità nel nostro Paese.
Tale Rapporto utilizza anche report di organizzazioni sovranazionali come l’Ocse o l’Oms, e studi di numerosi centri di ricerca. Insomma cerchiamo di dare un contributo al dibattito sul futuro della sanità pubblica in Italia.

Avvocato Pinò, quante richieste di consulenza ricevete in media e cosa deve fare il vostro potenziale assistito?
Riceviamo giornalmente dalle 12 alle 15 richieste di consulenza, dal lunedì al venerdì. Un numero così ingente di domande d’aiuto richiede una organizzazione particolarmente efficiente. La persona che si rivolge al nostro studio viene seguita, passo dopo passo, sin dall’arrivo della sua richiesta di assistenza. Dapprima, sono le nostre segretarie che si fanno rilasciare tutti i riferimenti della persona; subito dopo, il potenziale assistito verrà messo in contatto con una figura specializzata nella relazione con i clienti a cui potrà esporre il suo caso molto brevemente. Infine sarà sempre un avvocato che richiamerà il cliente per farsi raccontare la vicenda con le sue criticità e chiedergli l’invio della cartella clinica e di tutta la documentazione medica utile.
Questa documentazione sarà poi inoltrata via mail a uno dei nostri medici legali e a uno o più dei nostri specialisti. Ci siamo fatti fare un programma personalizzato che venga incontro alle nostre particolari esigenze: insomma un programma su misura. Tutto è digitalizzato.
Non sarebbe altrimenti possibile gestire un numero così rilevante di assistiti. Ci vogliono normalmente due o tre mesi per avere una risposta dai nostri medici che, dopo aver visitato il paziente, ovviamente salvo il caso di decessi, e studiato la documentazione medica, ci forniscono una risposta sulla responsabilità o meno dei sanitari coinvolti.
Se la risposta è positiva convochiamo l’assistito per la firma dei contratti e della procura alle liti.

Avvocato Di Maria, come ha influito il Covid 19 nel settore della responsabilità medica?
Il Covid è stato ed è tuttora uno tsumani che ha divelto buona parte della sanità pubblica italiana e ne ha messo in luce le fragilità. Queste fragilità, badi bene, non sono attribuibili ai medici. Anzi. In un Rapporto sul sistema sanitario che abbiamo promosso come “Osservatorio su Salute e Legalità” di cui le parlavo prima, abbiamo evidenziato che i medici italiani sono tra i migliori d’Europa, forse i migliori in assoluto.
Tuttavia, dai dati forniti dalla Commissione Europea, relativi alle migrazioni dei professionisti, si registrano 10.104 medici italiani “espatriati” nel periodo 2005 – 2015.
L’esodo di questo enorme capitale umano che “costa” al sistema Paese in termini di investimenti sull’istruzione pubblica e sull’Università cifre da capogiro, è stato favorito, direi necessitato, dagli scarsissimi investimenti nella sanità pubblica degli ultimi anni.
Questo impoverimento d’organico ha causato e sta causando problemi giganteschi che il Covid ha solo enfatizzato.

Di quali problemi parla?
La pandemia ha di fatto bloccato la sanità per quanto riguarda tutte le altre patologie. Gli effetti di questo disastro si avvertono già oggi ma si misureranno pienamente tra qualche anno. Consideri che secondo l’Agenas, l’Agenzia sanitaria nazionale delle Regioni, i ricoveri nei primi sei mesi del 2020 sono stati 3,1 milioni contro i 4,3 dello stesso periodo dell’anno precedente. Insomma si sono perduti un milione e duecentomila pazienti, il 28 per cento. Se si considera che in questa statistica sono compresi anche i malati Covid, non si può che concludere che le cure destinate agli “altri” malati si sono ridotte drasticamente.
Per parlare solo della prevenzione oncologica, nella prima parte del 2020, c’è stato un taglio del 22% degli interventi alla mammella, del 24% per quelli della prostata, del 32% per il colon, del 13% per il retto e il polmone, del 21% per il melanoma e del 31% per la tiroide. Una catastrofe.

Vi state occupando di casi Covid?
Noi come studio siamo molto riluttanti a occuparci di casi Covid. E anche come Segretario Generale della Siodis (Società Italiana Operatori Diritto Sanitario), una associazione formata da avvocati che si occupano di diritto sanitario, ho deciso, assieme al Consiglio direttivo, di non seguire di norma i casi Covid, salvo eccezioni che vengono vagliate molto ma molto attentamente.

Avvocato Pinò, mi spiega perché avete scelto di non seguire i casi di Coronavirus?
Per una pluralità di motivi. Innanzitutto per una questione etica. I medici, salvo casi particolari, si sono distinti in questa pandemia per doti di abnegazione e coraggio e hanno pagato un tributo elevato di morti, oltre cento. Poi però ci sono i problemi giuridici a cui in questa sede posso solo accennare. In primo luogo non è semplice accertare se vi sia un nesso di causalità tra l’infezione e il decesso, soprattutto nei casi, che sono poi i più frequenti, in cui i pazienti, normalmente anziani, sono affetti da pregresse, gravi patologie. Poi bisogna vedere, nel caso concreto, se ricorrono gli estremi della causa non imputabile di cui all’art. 1218 cod. civ. E, a questo proposito, bisogna dire che lo stato di eccezionalità che si è vissuto negli ospedali, soprattutto nel primo periodo, la potrebbe integrare. Insomma i problemi sono molti e complessi e, a quelli già esistenti, bisogna aggiungere la mancanza di giurisprudenza specifica in materia. Ciò non toglie che in alcuni casi, emblematici quelli delle Rsa, in cui i profili di responsabilità non sono attribuibili ai medici ma ai vertici della struttura organizzativa (letti ravvicinati, precarie condizioni igieniche, omessa misurazione della temperatura per i visitatori, omesso utilizzo delle mascherine, ecc) il nostro studio ha assistito e assiste chi chiede il nostro supporto. E a volte a chiederlo sono proprio i medici o i loro parenti.

Avvocato Di Maria, come giudica l’attuale normativa in tema di responsabilità professionale medica?
Il settore è oggi regolato dalla Legge n. 27/2017, la cosiddetta legge Gelli-Bianco. Ha presente il responso della Sibilla cumana: ibis redibis non morieris in bello. Al confronto della Legge Gelli, la risposta della Sibilla appare un raro esempio di univoca chiarezza. Peccato che a fare le spese di una legge che, a pieno titolo, potrebbe entrare nel museo degli orrori del diritto, siano prima di tutto i pazienti ma poi anche i medici, i magistrati e gli avvocati. La nuova disciplina è stata definita di “disarticolante contraddittorietà” dalla Cassazione penale (Cass. 7 giugno 2017, n. 28187). Si trattava di “alleggerire” la responsabilità penale dei sanitari per contrastare la medicina difensiva. La conclusione qual è stata? Che secondo la Cassazione la normativa precedente era più favorevole ai medici perché ne limitava la responsabilità penale ai soli casi di colpa grave mentre ora essi rispondono penalmente anche per colpa lieve. Un autentico autogol.

Avvocato Pinò, quali sono le ricadute della legge Gelli in campo civile?
Qualche magistrato della Suprema Corte confessa sconsolato che ci vorranno almeno 10 anni perché, a suon di sentenze della Cassazione e forse della Corte Costituzionale, la L. n. 24/2017 possa trovare un suo assetto decifrabile, costituzionalmente orientato e mondo dalle infinite criticità che l’affliggono. Detto questo, questa legge è innanzitutto caratterizzata da norme che potremmo definire declamatorie o norme propaganda, norme cioè che, al di là dell’effetto annuncio, non modificano in niente la situazione precedente. Ne è un esempio l’art. 4 della legge che prevede l’obbligo per la struttura pubblica o privata di consegnare agli interessati, entro sette giorni dalla richiesta, la documentazione sanitaria, termine prorogabili a 30 per eventuali integrazioni. Già, ma che succede se la struttura sanitaria non fornisce al richiedente la documentazione entro i termini fissati dalla legge? Nulla, si tratta di un obbligo senza sanzione e, come accadeva prima della “svolta storica” l’interessato dovrà rivolgersi al Tar per poter acquisire la documentazione. Vi sono poi norme che presentano problemi interpretativi infiniti. Ne è un ottimo esempio l’art. 8 della legge nella parte in cui prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione attraverso l’accertamento tecnico preventivo previsto dall’art. 696 bis cpc. I problemi che si pongono sono molteplici. Mancano poi, a quattro anni dalla sua entrata in vigore, molti decreti attuativi, soprattutto quelli che riguardano le assicurazioni, i più rilevanti.

Avvocato Di Maria, quali progetti avete in cantiere per il prossimo futuro?
Come Studio Legale Di Maria dal prossimo anno ci trasformiamo in società per azioni. Oggi uno studio legale è una piccola-media impresa e, se vuole restare sul mercato in tempi sempre più difficili, deve essere gestito con criteri manageriali. La trasformazione in società per azioni ci offrirà diversi vantaggi come quello di accedere più facilmente ai finanziamenti bancari e di avere soci di capitali, nei limiti di legge, necessari per i nuovi modelli di investimento non più procrastinabili. Mi riferisco alla nuova strumentazione tecnologica, all’introduzione nello studio di esperti in tecnologia digitale e di manager. Il modello attuale di gestione dello studio legale è ormai inadeguato e insufficiente. La trasformazione del nostro studio legale in società per azioni consentirà anche una migliore ripartizione degli utili tra i vari avvocati-soci in base ai loro risultati, con beneficio evidente anche per i nostri assistiti. Nel 2022 sarà poi assegnata la prima borsa di studio riservata ai giovani laureati in giurisprudenza che desiderino approfondire il settore del diritto sanitario. La borsa di studio “Studio Legale Di Maria” sarà destinata a finanziare un programma di master presso una università italiana oppure lo svolgimento di un programma di ricerca, dottorato oppure ricerca finalizzata alla pubblicazione di un libro, sempre presso una università italiana. Vogliamo insomma aiutare la crescita professionale dei più meritevoli con un piccolo ma concreto gesto che premi l’eccellenza, la qualità e la voglia di realizzare insieme grandi idee. Come Segretario Generale della Siodis cercherò invece di dare un impulso, con l’indispensabile contributo del Consiglio direttivo dell’Associazione, al cambiamento e al rinnovamento dell’avvocatura per renderla più aderente alle necessità dei tempi. Se, per realizzare questo obiettivo, sarà indispensabile entrare nelle istituzioni rappresentative dell’avvocatura, siamo pronti a raccogliere la sfida.

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