La combinazione tra congelamento della prescrizione e improcedibilità dell’azione penale sta tramutando la prescrizione da causa di estinzione del reato a causa di estinzione dell’azione penale. Lo afferma Alessandro Vallese, name partner dello Studio Legale Crippa Vallese.
Su quali branche del diritto penale vi siete concentrati maggiormente in questo 2021?
Il 2021 ci ha visti particolarmente impegnati nel campo dei reati finanziari e relative misure reali (sequestri e confische) e delle fattispecie di colpa medica. È entrata in vigore la Riforma del processo penale, anche se la sua attuazione avverrà soprattutto tramite deleghe. Come commenta l’impianto normativo, in termini di maggiore efficienza del processo penale, e che impatto avrà sui penalisti?
Alcune disposizioni sono già in vigore; quelle integrative del “codice rosso”, che hanno previsto l’estensione di alcune garanzie alle persone offese del delitto di omicidio volontario tentato, nonché quelle concernenti l’improcedibilità delle azioni penali non definite, in appello o in Cassazione, entro i termini previsti dall’attuale art. 2 legge 134/2021.
Nonostante risalenti rumours di abrogazione, permane il congelamento della prescrizione alla sentenza di primo grado, quale che essa sia (la norma ad hoc è, ora, l’art. 161-bis c.p.). La combinazione tra i due istituti – congelamento della prescrizione ed improcedibilità dell’azione penale oltre termini fissi – sta, a mio avviso, lentamente tramutando la prescrizione da causa di estinzione del reato (come tale, soggetta al divieto di retroattività della legge penale sfavorevole), a causa di estinzione dell’azione penale, assoggettata alla regola processuale tempus regit actum, salve diverse disposizioni di diritto intertemporale (com’è, appunto, il caso della legge in commento).
Quanto alle misure oggetto di delega, esse appaiono volte a minimizzare l’impatto della burocrazia su tutte le ordinarie attività processuali, ma a prezzo di un generale disincentivo ai rimedi in caso di errore. Si mira, ad esempio, a: introdurre l’obbligo di mandato ad hoc per l’impugnazione della condanna di un assente (formalità espunta, con la nota “legge Carotti”, allorquando vi era ancora l’istituto della contumacia, ed oggi reintrodotta); abrogare la facoltà di deposito delle impugnazioni a mezzo raccomandata o presso la Cancelleria del Tribunale del luogo in cui l’appellante si trova (in caso di mancata funzionalità di qualsivoglia sistema informatico, o in caso di appello dell’imputato in persona, sarebbe a mio parere il caso di non intaccare le modalità cartacee ad oggi in vigore); scoraggiare il ricorso tout court all’impugnazione nel caso di scelta del rito abbreviato, attraverso un’ulteriore riduzione della pena al passaggio in giudicato della condanna; “cartolarizzare” il contraddittorio innanzi alle Corti d’Appello ed alla Corte Suprema…
Come vede il futuro della professione di avvocato penalista tenuto conto della crisi che sta vivendo la categoria forense, soprattutto in termini di vocazione da parte dei giovani?
Credo che sui penalisti finirà con l’incombere la prova di aver in tutti i modi dissuaso il proprio assistito dall’esigere il cd. giusto processo (dibattimento e successivi gradi di giudizio), un po’ alla stregua delle informative, in materia di mediazione e negoziazione assistita, previste in sede civile. Ciò si rifletterà anche sulla minor attrattività della professione, inducendo l’aspirante avvocato a tutelare anzitutto sé stesso, prima che i diritti costituzionali del suo assistito. In quest’ottica, sarebbe forse più coraggioso predisporsi ad espungere dalla Costituzione l’obbligo di esercizio dell’azione penale ed a rendere negoziabile ogni accusa (cd. plea bargain); ciò sarebbe anche più coerente con l’effettivo ingresso della giustizia riparativa nel processo penale (art. 1., co. 18, legge 134/2021).