Imprese a caccia di finanziamenti alternativi

L’80% delle risorse prestate alle pmi passa ancora dalle banche, ma crescono strumenti come social lending, minibond, fintech, crowdfunding. Le previsioni degli operatori intervistati da Le Fonti Legal sul funding del sistema di credito.

In Italia, oltre l’80% dei finanziamenti alle imprese passa ancora per il canale bancario mentre in alcuni Paesi europei, tra cui la Francia, la percentuale è di gran lunga inferiore. Questa tendenza si sta modificando, complici anche i vincoli normativi e patrimoniali sempre più stringenti che vengono richiesti e che costringono gli istituti di credito a tagliare i prestiti alle imprese e in particolare alle Pmi. Così, il calo dei finanziamenti bancari per queste ultime ha contributo alla nascita di strumenti alternativi. Dal micro al macro, disintermediazione bancaria, social lending, crowdfunding, minibond, fintech, sono la nuova frontiera del credito. Insomma, la questione legata al funding del sistema del credito sta assumendo una dimensione di assoluto rilievo e preminenza, forse anche superiore a quelle della gestione delle sofferenze e dell’adeguamento del patrimonio ai requisiti regolamentari. Ma quali chance ci sono perché in Italia possano davvero prendere piede forme di finanziamento alternative al canale bancario per le aziende? «Dal 2008 con la crisi dei mercati finanziari è diventata evidente la necessità di aprire forme di finanziamento diverse. Se da un lato può essere fatto ancora molto da questo punto di vista, al tempo stesso non possiamo non osservare che dagli anni del credit crunch la normativa si è evoluta in senso positivo, dato che ci sono stati degli interventi volti a favorire l’utilizzo da parte delle imprese di strumenti di finanziamento alternativi rispetto al tradizionale canale bancario», spiega Stefano Sennhauser, partner Banking e senior partner di Allen & Overy. E continua: «in primo luogo, ricordiamo gli interventi normativi in materia di cosiddetti mini bond volti, da un lato, a rendere possibile il ricorso a questo strumento anche da parte di società non quotate e, dall’altro, a favorire il finanziamento da parte di soggetti, anche esteri e non bancari. In secondo luogo, è stato più recentemente concesso ad alcuni tipi di fondi (i cosiddetti AIFM compliant) di poter direttamente concedere finanziamenti».

Banche e bond. Dalla metà dello scorso maggio (il momento in cui lo spread ha iniziato di nuovo ad accelerare la rincorsa dopo la firma del contratto di Governo) a oggi le banche italiane sono riuscite a collocare appena 14 senior e covered bond per complessivi 12 miliardi, registrando il risultato peggiore degli ultimi 10 anni e replicando così l’annata 2011-2012 caratterizzata da una crisi ancora più acuta sul debito. Ma per Roberto Russo, amministratore delegato di Assiteca sim: «è bene sottolineare che la recente difficoltà riscontrata dai nostri istituti di credito nel collocare prestiti obbligazionari trae la sua origine da fattori di natura psicologica più che di carattere economico. Infatti, secondo gli ultimi dati di Banca d’Italia nel 2018 il totale delle sofferenze lorde del nostro sistema bancario è diminuito del 34%, raggiungendo il livello di 100 miliardi rispetto a 167 circa di fine 2017, mentre le sofferenze nette sono scese a 29,5 miliardi rispetto a 64 miliardi di fine 2017, toccando i livelli minimi da maggio 2010». Continua: «sul fronte dei depositi bancari in conto corrente, a dicembre 2018 si è toccato il valore più alto dell’anno, pari a 1.109,8 miliardi di euro. La stessa Commissione Ue, sulla base dei dati della Bce, ha riconosciuto che l’Italia nell’ultimo anno è stata tra gli Stati membri ad aver ottenuto i migliori risultati nella riduzione della propria quota di crediti deteriorati (Npl) grazie a “un’inattesa accelerazione” favorita dalle numerose operazioni di cartolarizzazione effettuate dai principali istituti di credito. Da fine 2018 abbiamo assistito a un recupero delle quotazioni dei titoli di Stato e tutto ciò ha normalizzato anche i titoli del settore corporate, che in Italia appartengono in larga parte a banche e assicurazioni, molto sensibili ai movimenti dei titoli di Stato in quanto componenti di buona parte dell’attivo stesso delle società. In questo senso auspichiamo un 2019 in ripresa per le emissioni societarie».

Il ruolo del risparmio gestito. «All’interno di un simile contesto, tra gli strumenti nelle mani dell’industria del risparmio gestito in grado di contrastare l’impatto negativo della riduzione delle emissioni obbligazionarie da parte del sistema bancario italiano, ci sono gli European Long-Term Investment Fund (Eltif)», dice Russo. Gli Eltif, che in Italia devono ancora svilupparsi, sono fondi d’investimento che nascono con l’obiettivo di convogliare risorse verso società o progetti a lungo termine in diverse aree dell’economia reale (infrastrutture, industria, servizi, edilizia abitativa, ricerca e istruzione). Questi, a differenza dei Fondi d’Investimento Alternativi (Fia), possono essere venduti anche agli investitori retail anche se, vista la loro forma chiusa e la natura prevalentemente illiquida, prevedono tutele per il risparmiatore superiori a quelle stabilite dalla MiFID II. «In definitiva, queste novità possono aiutare un settore rivolto quasi esclusivamente a investitori istituzionali, visti i tagli minimi spesso superiori a 100.000 euro e i prospetti informativi molto articolati e di non semplice lettura per la clientela retail», taglia corto Russo. È costruttivo Paolo Martini, AD di Azimut Capital Management sgr, «in questo scenario l’industria dell’asset management può sì giocare un ruolo determinante, promuovendo quegli strumenti non tradizionali – come fondi di private equity e di credito privato – che offrono vantaggi significativi tanto agli imprenditori quanto ai risparmiatori. Da un lato, gli imprenditori hanno l’opportunità di accedere a forme di finanziamento alternative; dall’altro lato, i risparmiatori possono diversificare il rischio, perché l’andamento di questa tipologia di strumenti non è correlata a quello dei prodotti finanziari tradizionali sui mercati quotati, e ottenere rendimento». Il primo passo concreto dell’industria si è avuto con l’introduzione dei Pir nel 2017 che, però, ha luci e ombre e attualmente si trova in fase di stallo in attesa dei nuovi decreti attuativi dopo le modifiche dell’ultima legge di bilancio. Continua Martini: «anticipando i tempi, in Azimut già cinque anni fa avevamo capito l’importanza di creare un ponte tra il risparmio privato e le imprese e nel 2014 lanciammo l’iniziativa Azimut Libera Impresa. Ora che il contesto si è evoluto e i tempi sono più maturi, altre società del settore stanno seguendo il nostro esempio e hanno iniziato a promuovere strumenti che permettono investimenti in economia reale». Ma, dal punto di vista regolamentare, il settore dell’asset management è davvero pronto a porsi come alternativa al canale bancario? Secondo Sennhauser, «non del tutto. Pensando al direct lending la platea di riferimento si allontana dal settore dell’asset management e comprende in primo luogo i fondi chiusi che, come detto, sono a certe condizioni autorizzati a effettuare prestiti diretti. Anche qui occorrono ancora degli “aggiustamenti”. Uno tra tutti, rivedere i limiti di concentrazione dato che quello attuale del 10% non ha molto senso in un’ottica di ampliamento della platea dei finanziatori. Altro intervento potrebbe essere quello di ampliare (se non addirittura liberalizzare) la platea dei soggetti legittimati alla concessione di finanziamenti c.d. term a favore della clientela corporate diversa dalle micro-imprese, contemperandolo con l’obbligo a carico dei finanziatori non vigilati di utilizzare un agente (banca o intermediario finanziario) soggetto a vigilanza in Italia. Un assetto di questo tipo potrebbe consentire di coniugare le esigenze solo apparentemente contrapposte di liberalizzazione del mercato e di tutela/garanzia per le aziende che ricevono il finanziamento e, più in generale, del mercato». È d’accordo Antongiulio Scialpi, counsel del dipartimento finance a Milano presso lo studio legale Latham & Watkins e aggiunge: «i nuovi soggetti finanziatori, superata la diffidenza iniziale da parte delle banche, hanno caratteristiche (rapidità, assunzione di rischio) valide e si integrano e lavorano bene tra loro, all’interno di una capital structure».

Struttura delle operazioni. Mentre il ruolo delle banche nel mercato del credito alle imprese italiane rimane centrale, la partecipazione dei finanziatori alternativi è progressivamente cresciuta, anche per merito delle innovazioni descritte. «Il fenomeno ha acquistato visibilità dal 2014 e, nella struttura delle prime operazioni, si è ricorso spesso a società di diritto lussemburghese, o altri ordinamenti che assicurano maggiore speditezza in caso di esecuzione», afferma l’avvocato Scialpi. E dice: «molte operazioni sono state strutturate con l’emissione di mini-bond e titoli di debito, anche in considerazione del favorevole regime di esecuzione delle cambiali finanziarie. Come per tutte le emissioni, rimangono i limiti di rigidità della struttura, che rende difficile per esempio l’incremento della linea di credito in caso di maggior fabbisogno della società prenditrice». Nelle strutture di tipo contrattuale, uno dei principali limiti che i finanziatori alternativi incontrano è nel finanziamento del capitale circolante. Non si è ancora imposta in Italia una prassi di collaborazione tra fondi di investimento e istituti di credito, a differenza del mercato inglese e nord-europeo delle operazioni unitranche, con la concessione di linee a termine da parte del fondo e linee di capitale circolante da parte della banca. A giudicare dall’esperienza nord-europea, è probabile che le opportunità per i finanziatori alternativi provengano principalmente da sponsor e operatori di private equity. Conclude: «se l’Italia seguirà lo stesso percorso, progressivamente le barriere culturali verranno meno, e la scelta tra forme di finanziamento tradizionali e strutture di tipo diverso sarà dettata sempre più da ragioni di opportunità e convenienza, in ragione del profilo industriale dell’impresa e delle aspettative degli sponsor di ritorno sull’investimento. A favore dei fondi di debito gioca la maggiore flessibilità nella determinazione del rapporto di leva e della quota di partecipazione al finanziamento, con maggiori certezze nella fase di sindacazione». Secondo le indicazioni di mercato, le principali opportunità per i finanziatori alternativi potranno arrivare da imprese con minor merito di credito, che presentano minor differenza di costo tra l’offerta di operatori bancari e fondi di credito. Secondo gli esperti, le condizioni applicate dai finanziatori alternativi risultano concorrenziali per le operazioni di taglio superiore a 100 milioni di euro.

Svolta culturale. Secondo un’indagine condotta dalla Commissione Europea (Survey on the Access to Finance of Enterprises) nel periodo aprile-settembre 2018, in Italia il 73% delle Pmi ritiene ancora che le banche siano il partner ideale per supportare i propri progetti e non guarda alla possibilità di diversificare le fonti di approvvigionamento. «Ma per crescere, espandersi e migliorare bisogna farlo. Serve dunque un cambio culturale sia da parte delle imprese, finora poco aperte al mercato, sia da parte degli investitori privati», afferma Martini. L’ultimo rapporto di Banca d’Italia evidenzia che le famiglie italiane hanno investito 60 miliardi di euro nel quotato e ben 600 miliardi nel non quotato, vale a dire 10 volte di più. La predisposizione degli italiani a investire in aziende non quotate già esiste, ma gli investimenti arrivano in modo frammentato e casuale. Introducendo fondi di investimento gestiti da specialisti che riescono a individuare nel dettaglio ciò che accade nell’economia reale, invece, si possono correggere queste distorsioni. «Quanto a noi», conclude Martini, «ci proponiamo al mercato, agli imprenditori e agli investitori con una sgr dedicata al mondo del non quotato e dell’imprese. Azimut Libera Impresa sgr è, infatti, una piattaforma integrata di asset management e advisory che favorisce l’immissione di liquidità nell’economia reale per stimolare la crescita delle aziende e offre al contempo opportunità di rendimento per gli investitori.

In particolare ci siamo prefissati l’obiettivo di far accedere il maggior numero possibile di risparmiatori, abbassando la soglia di investimento, democratizzando l’accesso a queste nuove asset class. A oggi abbiamo già raccolto 600 milioni di euro e, da qui ai prossimi 10 anni, lanceremo con Azimut Libera Impresa sgr tra i 18 e i 20 prodotti con un obiettivo di raccolta di 4 miliardi di euro e soglie minimo di accesso davvero “popolari”. A fine maggio stiamo organizzando un evento a Milano che vedrà coinvolti oltre diecimila imprenditori».

A cura di Francesca Vercesi

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