Lo Statuto dell’ISTAT, il più grande ente di ricerca italiano, è illegittimo ed è stato annullato dal T.A.R. Lazio sul ricorso proposto dagli Avvocati Michele Bonetti e Santi Delia al fianco di FGU – Dipartimento Ricerca, dalla FLC CGIL Roma Lazio, dalla UIL Scuola Rua – Ricerca Università Afam e dalla FIR CISL Regionale, oltre che da alcuni ricercatori dipendenti dell’Ente Pubblico di ricerca ISTAT.
In estrema sintesi alcune direttive euopee sfociate nella carta del ricercatore hanno imposto misure di salvaguardia sulla libertà della ricerca volte ad evitare che il mutevole clima “politico e di governo degli Enti” potesse imporre un indirizzo della ricerca stessa. Grazie alla rappresentatività negli enti come ISTAT e Enea e Stazione zoologica di Napoli (ove c’è l’acquario più antico d’Italia) si evita questo. Gli Statuti di Enea e Stazione zoologica, su ricorso di Delia e Bonetti, erano stati annullati nei precedenti. Ora è la volta dell’ISTAT.
Il TAR Lazio, valorizzando la Carta Europea dei ricercatori, deliberata con la raccomandazione della Commissione europea dell’11 marzo 2005, n. 2005/251/CE, ha evidenziato che la scelta non di rappresentatività dei ricercatori si pone in “contrasto con la normativa primaria e comporta di conseguenza l’annullamento dell’art. 8 dello statuto. Dev’essere di conseguenza annullato l’art. 8 del nuovo Statuto ISTAT, nella parte in cui non prevede la “rappresentanza elettiva” di ricercatori e tecnologi interni all’ente e in particolare la possibilità di “eleggere almeno un membro del consiglio di amministrazione nella parte in cui non prevedono la “rappresentanza elettiva” di ricercatori e tecnologi interni all’ente e in particolare la possibilità di “eleggere almeno un membro del consiglio di amministrazione” e dell’art. 9 dello Statuto, laddove esclude la possibilità di eleggere almeno un membro del consiglio scientifico, tra ricercatori e tecnologi interni all’Ente“.
“Conseguentemente“, conclude il TAR, “è agevole rilevare che la previsione contrasta palesemente con il citato art. 2, co. 1, lett. n), d.lgs. n. 218/2016″.“Si può però ritenere che tale norma (ndr: nel caso citato l’art. 37 , co. 6, l. 23 luglio 2009, n. 99, nel caso in esame l’art. 4 d.P.R. 07/09/2010, n. 166) sia stata implicitamente abrogata dall’art. 2, co. 1, lett. n), cit., deponendo in tal senso sia il ridetto art. 19, co. 3, avente l’effetto di conferire portata ultrattiva – “fino alla scadenza naturale del […] mandato” del cda in carica (alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 218/2016) – all’art. 37, co. 6, appena menzionato (oltre che alla corrispondente norma statutaria), sia la legge di delega (art. 13 l. n. 124/15), che individua quale criterio direttivo essenziale quello di “garantire il recepimento della Carta europea dei ricercatori e del documento European Framework for Research Careers, con particolare riguardo alla libertà di ricerca e all’autonomia professionale” (co. 1, lett. a; la Carta europea dei ricercatori risulta deliberata con la raccomandazione della Commissione europea dell’11 marzo 2005, n. 2005/251/CE; secondo Cons. Stato, comm. spec., parere 25 ottobre 2016, n. 2210, si tratta dell’“unico documento generale dell’Unione Europea con cui vengono stabiliti per tutti gli Stati membri principi e disposizioni in ordine alla professione di ricercatore”: essa contiene “un insieme di principi generali e requisiti che specificano il ruolo, le responsabilità e i diritti dei ricercatori e delle persone che assumono e/o finanziano i ricercatori”, essendo destinata a tutti i ricercatori dell’Unione europea in tutte le fasi della loro carriera)” ( TAR Lazio, III ter, 1 giungo 2018, n. 6134). Segnatamente, la Carta prende in specifica considerazione il tema della “partecipazione agli organismi decisionali”, affermando che gli enti di ricerca (“datori di lavoro”) “dovrebbero riconoscere che è del tutto legittimo, nonché auspicabile, che i ricercatori siano rappresentati negli organi consultivi, decisionali e d’informazione delle istituzioni per cui lavorano, in modo da proteggere e promuovere i loro interessi individuali e collettivi in quanto professionisti e da contribuire attivamente al funzionamento dell’istituzione”.
Michele Bonetti, avvocato dei sindacati del mondo della ricerca e dei ricercatori, ha commentato la vittoria “auspicando una maggiore e più incisiva collaborazione della classe politico-governativa e soprattutto dei singoli Ministeri nel loro ruolo di vigilanza degli Enti di ricerca, con atti di indirizzo specifici nonché con pareri più coerenti al dettato normativo in sede di controllo di legittimità e di merito delle bozze dei Statuti, in modo da garantire l’armonia con la normativa europea ed imporre un reale mutamento nell’approccio dei CdA dei singoli Enti di ricerca. Diversamente sarà necessario procedere nuovamente davanti la giustizia amministrativa impugnando Ente per Ente gli Statuti lesivi dei diritti dei ricercatori; non si deve dimenticare, difatti, che ne va dell’indipendenza della ricerca, come costituzionalmente garantita, e del ruolo inestimabile svolto oggi dal personale scientifico tutto”.
Il rappresentante della FGU- Liana Verzicco- precisa: “Il TAR del Lazio ha riconosciuto che l’ISTAT non ha rispettato il diritto dei ricercatori e tecnologi dell’Ente ad avere un proprio rappresentante di natura elettiva all’interno del Consiglio di Istituto come membro a tutti gli effetti e non solo come partecipante a determinate riunioni riguardanti la trattazione di argomenti scientifici. Di conseguenza, dovrà essere modificato l’art. 8 dello Statuto, nella parte in cui non prevede tale piena rappresentanza.