Sono circa 8 milioni e 434 mila (il 65,8% del totale) i lavoratori dipendenti che in questo momento non lavorano.
In larga parte perché interessati dal fermo imposto dai DPCM dell’11 e 22 marzo scorso, e successive modifiche (5 milioni e 717 mila unità, il 44,6%) e in altra misura perché sono in ferie obbligate o bloccati dalla sospensione volontaria delle attività (2 milioni e 717 mila, il 21,2%).
I restanti 4 milioni e 384 mila lavoratori dipendenti (il 34,2%), invece, continuano a lavorare: nel 17,2% dei casi principalmente o in via esclusiva da casa (2 milioni e 205 mila), in un altro 17% in sede (2 milioni e 179 mila). Il blocco delle attività produttive, unito alla chiusura volontaria di altre, ha portato alla sospensione del 65,9% delle attività imprenditoriali italiane.
È il quadro stimato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nel focus “Emergenza Covid-19: l’impatto su aziende e lavoratori secondo i Consulenti del Lavoro”, che riporta i risultati dell’indagine condotta tra il 23 e il 25 marzo 2020 su 4.463 iscritti all’Ordine, con l’obiettivo di valutare le conseguenze della pandemia sul tessuto produttivo italiano e sui suoi addetti ai lavori.
LE ANOMALIE
I consulenti del lavoro analizzano anche l’andamento delle procedure per richiedere gli ammortizzatori sociali, diffusissimo secondo le prospettive dei Consulenti del Lavoro e in considerazione dello stallo occupazionale che interessa l’Italia. Il 41,5% dei professionisti dichiara di avere riscontrato comportamenti anomali da parte delle organizzazioni sindacali nelle procedure di accesso alla Cigo o Cig in deroga.
Il Centro Italia è l’area geografica dove si riscontrano le maggiori anomalie (45,2%) e le Marche sono la regione con la più alta quota di comportamenti non conformi riscontrati (58,3%). Tra le principali anomalie, il 59% segnala l’applicazione di istituti contrattuali non coerenti (71,6% al Nord Italia), il 50,6% la richiesta di tesseramenti e la richiesta di pagamento di oneri per i servizi resi.
GLI STRUMENTI
Se, infine, si guarda alle misure con cui le imprese stanno fronteggiando l’emergenza, la maggioranza dei Consulenti del Lavoro intervistati (45%), dichiara che le aziende hanno per lo più cercato di adottare un “mix” di misure tra lavoro in presenza, lavoro da casa e ricorso a ferie e permessi, in modo da “diluire” la presenza in sede e ridistribuire i costi dell’emergenza sull’intera comunità aziendale. Una tendenza questa che ha caratterizzato soprattutto le imprese del Nord, presumibilmente più innovative in termini di organizzazione del lavoro (51,3%), rispetto a quelle del Centro (42,1%) e del Sud d’Italia (39,6%). Il 28,3% dei Consulenti del Lavoro coinvolti dal questionario ha indicato l’utilizzo di ferie e permessi: modalità più diffusa al Centro (33,4%) e al Meridione (30,5%), rispetto al Settentrione. Solo il 10,8% degli intervistati, invece, ha risposto che il comportamento principale adottato delle aziende è il ricorso allo smart working, con le regioni settentrionali che registrano una percentuale leggermente più alta (13,2%), mentre secondo un altro 10,7% di Consulenti del Lavoro le imprese hanno invece cercato di garantire quanto più possibile la presenza in sede di tutti i lavoratori: una percentuale questa che varia dall’8,2% del Centro-Nord al 15,2% del Sud.