Un intervento strutturale in materia di lavoro per favorire la ripartenza. Non aiutano, infatti, la molteplicità di provvedimenti che hanno da un lato tamponato problematiche, per le imprese, che sono state solo rimandate, dall’altro creato delle criticità in fase di interpretazione della normativa.
Con la conseguenza che le aziende, soprattutto di piccole di dimensioni, si ritrovano oggi con il rischio di non avere le risorse necessarie per arrivare a fine anno, quando effettivamente si potrà partire con i veri processi di riorganizzazione del personale. Scade infatti il 31 dicembre il divieto di licenziamento, prorogato dal decreto Agosto, una norma che però presenta problematiche sia dal punto di vista interpretativo, sia di legittimità costituzionale. Lo ha sottolineato a Le Fonti Legal Danilo Lombardo, socio fondatore dello studio legale Lombardo, specializzato, tra l’altro, in diritto del lavoro, e in forte espansione sul territorio: lo studio, oltre alle sedi storiche di Roma e Milano, ha infatti appena aperto a Torino, Bologna, Firenze e Bari. Nel corso dell’intervista, Lombardo ha ripercorso i mesi del lockdown e analizzato il futuro del mercato del lavoro in Italia. In attesa, appunto, di interventi più incisivi da parte del Governo.
Quale impatto ha avuto l’emergenza sanitaria sul mercato del lavoro?
Durante la pandemia, in un primo momento, le aziende, in molti settori si sono trovate costrette alla chiusura delle attività produttive, industriali e commerciali, con la sospensione, in molti settori, delle attività che non potevano essere svolte in modalità agile.
Tale chiusura ha indubbiamente avuto un effetto negativo sulla produttività delle imprese che in molti casi non hanno riaperto neppure all’indomani della fase due, in attesa di essere in grado di assicurare effettivamente la sicurezza dello svolgimento della prestazione lavorativa e l’osservanza delle norme sul distanziamento sociale, da una parte perché necessitavano di tempo per predisporre la nuova organizzazione, dall’altra per il timore di eventuali responsabilità del datore di lavoro.
Se pur non tutte le aziende si siano fermate ed anzi, in alcuni settori, si sia al contrario riscontrata una crescita, soprattutto le piccole imprese hanno subito evidenti problematiche per lo stop che stanno portando alla chiusura di diverse attività, con profonde ripercussioni sull’occupazione.
La crisi del mercato del lavoro e la necessità di difendere i posti di lavoro sono state, quindi, una costante di tutta quanta la decretazione di urgenza, con la previsione di ammortizzatori sociali con causale covid e del blocco dei licenziamenti.
Quali sono le armi a disposizione dell’azienda per strutturare una nuova organizzazione del lavoro che punti sulla produttività e il benessere dei dipendenti?
La modalità di lavoro agile è stata necessaria per la prosecuzione dell’attività durante il periodo dell’emergenza sanitaria in cui era impossibile accedere ai luoghi di lavoro ai fini del contrasto alla diffusione del contagio.
In questa fase è stato consentito il ricorso allo smart working con modalità diverse da quelle previste dalla disciplina ordinaria contenuta nella l. n. 81/17, in particolare con la deroga alla necessità dell’accordo individuale tra impresa e lavoratore.
La riorganizzazione del lavoro potrebbe anche nella fase successiva includere lo smart working prevedendo, tuttavia, piani a lungo termine, passando attraverso gli accordi con i lavoratori come richiesto dalla disciplina ordinaria in materia.
Si potrebbe così prevedere un’effettiva modalità di lavoro agile (con flessibilità di orario e di luoghi, e obiettivi per fasi o cicli di lavoro e non con i caratteri del telelavoro) come alternativa per lo svolgimento della tradizionale prestazione lavorativa, da intendersi non in senso esclusivo. L’ alternanza tra il lavoro in remoto e la prestazione lavorativa in sede non escluderebbe così il collegamento tra il lavoratore, i suoi colleghi ed il datore, con le dinamiche collaborative che ne conseguono.
Ed invero, le relazioni lavorative non sono soltanto funzionali per il trasferimento di informazioni volte alla miglior svolgimento della prestazione lavorativa, ma servono anche per costruire una reciproca identificazione e appartenenza dei dipendenti e sono ovviamente più realizzabili con le forme tradizionali di svolgimento della prestazione lavorativa.
L’integrazione con il lavoro da remoto permetterebbe, invece, l’esigenza di conciliazione work – life, con un miglioramento della produttività e del benessere dei dipendenti, mantenendo, comunque, la possibilità di una sorta di ulteriore controllo del risultato, concetto che seppur non a ragione, spesso il datore di lavoro ricollega ad un migliore controllo visivo ed una presenza fisica sul luogo di lavoro.
Punto nodale del benessere nel lavoro agile sarebbe, quindi, anche il diritto del lavoratore alla disconnessione previsto in materia, nella disciplina ordinaria di cui alla legge n. 81 del 2017 all’art. 19 comma 1.
Quali i nodi ancora aperti creati dalla iper produzione normativa degli ultimi mesi in materia di lavoro?
Durante la pandemia, il susseguirsi di norme, originate dalla necessità di tempestivamente fornire soluzioni in situazione di emergenza, ha comportato delle problematiche, talune ad oggi ancora irrisolte.
Tra tutte, in materia di blocco dei licenziamenti rimane la questione del gap temporale tra la previsione del Cura Italia con il divieto per 60 giorni e la proroga stabilita con il decreto Rilancio solo successivamente alla scadenza della precedente disposizione.
Persiste, pertanto, il problema della legittimità dei licenziamenti intimati in quei giorni: nessun chiarimento sul punto è stato dato e potrebbe aprirsi un contenzioso dall’esito incerto.
L’ulteriore proroga prevista con decreto Agosto è, invece, sì intervenuta tempestivamente disponendo un termine temporale per il divieto di licenziamento al 31 dicembre, ma ha suscitato nuovi dubbi e perplessità.
Quali in particolare?
Fa discutere l’interpretazione letterale della norma che ricollega la durata del divieto alla fruizione dell’esonero dal contributo previdenziale o delle 18 settimane di cassa integrazione, divenendo così il presupposto per poter procedere alla riorganizzazione aziendale anche con licenziamenti.
Permangono, inoltre, e si fanno più fondati, i dubbi di legittimità costituzionale della norma, anche in considerazione del fatto che lo stato di emergenza terminerebbe al 15 ottobre, mentre il divieto sarebbe ulteriormente valido per il periodo fino al 31 dicembre, con una compromissione di un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 41 Cost senza una ratio forte.
Cosa pensa invece delle previsioni in materia di cassa integrazione?
Sempre con riferimento al Decreto Agosto, le ultime previsioni in tema di cassa integrazione salariale sembrano, peraltro, danneggiare quelle aziende che avevano rimandato ad un momento successivo la fruizione delle ultime settimane di trattamento già previste nel decreto Rilancio.
Le 18 settimane di cassa integrazione salariale di cui al decreto del 14 agosto non sono, infatti, ulteriori rispetto a quelle, perché le prime nove potrebbero assorbire i periodi di integrazione precedentemente richiesti ed autorizzati – in forza delle precedenti previsioni in materia dopo il Decreto Rilancio e sue modifiche – ove fossero collocati anche parzialmente in periodi successivi al 12 luglio 2020.
In questo modo non solo si perderebbero i relativi periodi di trattamento, ma al datore rimarrebbero quelli sottoposti al contributo aggiuntivo inversamente proporzionale al calo di fatturato subito nel primo semestre del 2020 rispetto all’analogo periodo del 2019.
Non è chiarissimo, peraltro, se vi rientrino settimane che erano state precedentemente pianificate ma non ancora richieste all’Inps, perché il tenore letterale della norma sembrerebbe assorbire soltanto i precetti i periodi di integrazione “precedentemente richiesti e autorizzati”.
Che tipo di consulenza stanno chiedendo le aziende clienti per superare questa fase critica?
Dopo le richieste in materia di responsabilità del datore di lavoro all’indomani della previsione (rectius della conferma) del contagio da Covid come assumibile nella categoria dell’infortunio sul lavoro e la diatriba in ordine all’applicazione della presunzione di responsabilità ai danni del datore di lavoro (risolto il problema dell’esonero del datore con l’applicazione di tutti i protocolli previsti, non essendo possibile la previsione di un vero e proprio rischio di contagio pari allo 0), oggi le aziende chiedono consulenze per la riorganizzazione e per la gestione degli esuberi dei lavoratori.
Si preparano, inoltre, a rispondere alle contestazioni da parte dei dipendenti in ordine all’accesso allo smart working, ma anche alla obbligata fruizione per il primo periodo dei congedi e delle ferie.
Se in un primo momento i lavoratori avevano, infatti, accolto di buon grado tali sistemi al fine di evitare di recarsi al lavoro per limitare il rischio di contagio, oggi anche a seguito del periodo di ferie, consapevoli dell’impossibilità di fruire di ulteriori periodi di riposo hanno iniziato a svolgere contestazioni in merito, chiedendo di poter recuperare tali giorni.
Quali i nuovi rischi a cui va incontro il datore di lavoro e come è possibile minimizzarli?
Il rischio al quale sono ora più esposte le aziende consiste nel dover gestire l’accesso agli ammortizzatori in precario equilibrio con l’osservanza delle disposizioni in tema di divieto di licenziamento, sia di quello individuale per giustificato motivo oggettivo, che delle procedure collettive, dovendo nel medio tempore risolvere il problema dell’eventuale esubero dei lavoratori che si collega, in vista della riorganizzazione, con l’utilizzo dei vari tipi di contratti (come la proroga dei contratti a termine).
Il datore di lavoro rischia, invero, di non avere le risorse necessarie per arrivare all’eventuale termine finale del 31 dicembre, quando potrà, almeno per ora, provvedere in modo più incisivo sulla questione relativa agli eventuali licenziamenti che si renderanno necessari per giustificato motivo oggettivo.
Nuove problematiche si presentano, peraltro, per le zone gialle e rosse, più colpite dall’emergenza sanitaria ed economica, per le quali il decreto Cura Italia e il decreto Rilancio avevano mantenuto i periodi aggiuntivi di integrazione salariale in ragione della loro particolare situazione.
I suddetti trattamenti previsti in loro favore rischiano, infatti, di essere di fatto azzerati nelle previsioni del decreto agosto.
In particolare, le settimane di cassa integrazione salariale con fruizione entro il 31 agosto potrebbero essere assorbite dalle nuove disposizioni ove fossero state collocate dopo il 12 luglio, cancellando la maggior tutela riconosciuta loro e livellando questa particolari zone con l’intero territorio nazionale.
Rispetto alle previsioni di cui al Decreto Cura Italia ed al decreto Rilancio, è, però, ora possibile il superamento del divieto di licenziamento per le aziende che cessano le attività con la liquidazione, senza dover attendere il termine ultimo o dover fruire dell’intero trattamento degli ammortizzatori sociali con causale Covid previsti.
Peraltro, in forza dell’art. 14, 3° comma del decreto Agosto, in caso di situazioni accertate di crisi o di necessità di riorganizzazione, si può procedere al recesso per giustificato motivo oggettivo sulla base di accordo sindacale, al quale il lavoratore potrebbe aderire, mantenendo, nonostante la risoluzione consensuale, il diritto alla Naspi. Allo stato le varie previsioni sembrano lasciare più esposte le piccole imprese.
Ferme le criticità in ordine alla responsabilità del datore per la sicurezza del luogo di lavoro, con l’obbligo di osservanza di una serie di protocolli e la necessità di riorganizzazione anche degli spazi di lavoro, a breve i datori potrebbero dover, però, rispondere ad una nuova problematica.
A seguito di quella che attualmente sembra essere una nuova ondata di contagi (presumibilmente ricollegata ad un alto numero di tamponi a seguito del ritorno dalle vacanze che, comunque ha comportato un aumento del numero dei soggetti positivi), ancor di più dopo la riapertura delle scuole potrebbe presentarsi un problema di assenteismo sul lavoro, perlomeno in sede.
In che modo?
Nel caso di minori di 14 anni in quarantena obbligatoria, in forza dell’art. 5 del Decreto legge n. 111 dell’8 settembre 2020, in tema di disposizioni urgenti per far fronte a indifferibili esigenze finanziarie e di sostegno per l’avvio dell’anno scolastico, i genitori potranno chiedere di svolgere la prestazione in modalità agile.
Ove, tuttavia, non fosse possibile lo svolgimento della prestazione lavorativa in smart working, il lavoratore potrebbe richiedere un congedo straordinario retribuito al 50%, creandosi problematiche per la prosecuzione dell’attività, ove il fenomeno assumesse dimensioni rilevanti.
Si consideri, poi, che il contagio dalle scuole potrebbe avere ripercussioni di un certo peso sulla diffusione, a cascata, nell’ambiente familiare e, per l’effetto, di ulteriori contesti lavorativi, con crescita esponenziale.
Al fine di ovviare alle problematiche economiche che ne potrebbero derivare, quindi, si sta studiando in questi giorni la possibilità di abbreviare il periodo di quarantena, proprio in considerazione dell’impatto negativo che potrebbe avere sullo svolgimento attività lavorativa, ove non si potesse lavorare in modalità agile.
Bastano a suo avviso le misure prese dal Governo in materia di lavoro o serve un intervento più strutturale per favorire l’occupazione e la ripartenza?
Per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid19 gli interventi normativi e le misure adottate dal punto di vista lavoristico sono state finalizzate alla tutela dei dipendenti con lo scopo di favorire lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità agile e di fornire strumenti di sostegno al reddito.
Tuttavia, le misure prese dal governo non sono sufficienti e servirebbe un intervento più strutturale per favorire la ripartenza, a fronte di una molteplicità di previsioni che hanno più che altro cercato di “tamponare” nell’urgenza le problematiche che sono state solo rimandate.
Il decreto Agosto prevede una serie di strumenti che dovrebbero favorire l’occupazione e la ripresa economica aziendale grazie ad un minor costo del lavoro per le imprese.
A differenza di quanto previsto nel Cura Italia e nel Rilancio, infatti, sono state introdotte agevolazioni contributive a favore di quelle aziende che non hanno avuto necessità di utilizzare gli strumenti di emergenza messi a disposizione, non avendo subito alcun tipo di riduzione dell’attività lavorativa e per l’effetto del fatturato.
Quali interventi sarebbero necessari a suo avviso?
Certamente la possibilità di riduzione del costo del lavoro può rappresentare uno strumento importante a sostegno non solo delle imprese, ma dell’occupazione e della crisi del mercato del lavoro.
Tuttavia la previsione temporale di tutti i provvedimenti al 31 dicembre 2020 come nel decreto agosto appare non corretta.
Infatti, se per la scadenza dell’agevolazione la portata temporale sembrerebbe alquanto limitata a fronte dello scopo da raggiungere, per il blocco dei licenziamenti appare troppo estesa.
Dunque, le aziende si ritroverebbero da una parte costrette a mantenere in vita rapporti di lavoro fino a quella data, mentre, dall’altra, rischierebbero che la copertura del trattamento di integrazione salariale potrebbe non arrivare a coprire tutto quel periodo.
In questo momento occorrerebbe sicuramente pensare a più lungo termine per una ripresa dell’economia e dell’occupazione, con interventi anche sulla disciplina contrattualistica ordinaria, risolvendo la questione relativa ai contratti a termine, tanto demonizzati. A tal ultimo proposito, i contratti a termine sono oggi stretti tra una normativa generale che prevede stringenti limiti anche per le proroghe e la necessità di causale ed una previsione emergenziale che, per l’incalzante crisi economica, deroga alla normativa (già oggetto di contestazione nel settore), permettendone l’attivazione anche in costanza della fruizione degli ammortizzatori sociali.
Una ripresa con minori limiti del contratto a termine potrebbe essere al momento lo strumento in grado di contemperare le opposte esigenze dei datori e dei lavoratori. Il decreto Agosto ha, comunque, intanto cancellato la proroga ex lege dei contratti a termine, anche in regime di somministrazione
Quale impatto ha avuto l’emergenza sanitaria sulle relazioni industriali e come cambieranno a suo avviso?
L’emergenza sanitaria ha richiesto delle scelte fondate sull’urgenza al fine di risolvere i problemi più impellenti in tempi stretti volti alla prosecuzione della attività, ove possibile. Ad oggi, tuttavia, sarà necessario pensare alla ripresa con azioni a medio lungo termine che possano sostenere le imprese e permettere la ricostruzione delle stesse, così da risollevare l’occupazione, il reddito da lavoro, ed i consumi. Ritengo, tuttavia, che la ricostruzione avverrà seppur con un coordinamento di base con una certa libertà dei diversi protagonisti e grande importanza avranno le parti sociali, dovendo essere affrontati, nel prossimo periodo, anche i problemi relativi ai rinnovi di alcuni dei principali contratti collettivi nazionali del lavoro (quali metalmeccanico, alimentare, tessile abbigliamento e moda).