Il lavoro agile, o smart working, è diventato un elemento cruciale per molte aziende italiane, specialmente dopo la pandemia. Questa modalità lavorativa, introdotta in Italia con la Legge 22 maggio 2017, n. 81, ha permesso alle aziende di diventare più competitive e di attrarre nuovi talenti. Tuttavia, quando lo smart working si estende oltre i confini nazionali, emergono diverse criticità legali e organizzative che richiedono un’attenta gestione.
Indice dei contenuti
Adempimenti fiscali
Tassazione dei redditi
Una delle principali criticità del lavoro agile all’estero riguarda la tassazione dei redditi. In generale, per i Paesi che seguono il modello OCSE, i redditi da lavoro dipendente sono tassati nello Stato di residenza del lavoratore, a condizione che si verifichino tre condizioni:
- Il lavoratore soggiorna nello Stato estero per meno di 184 giorni nell’anno fiscale.
- Le remunerazioni sono pagate da un datore di lavoro non residente nello Stato estero.
- Le remunerazioni non sono a carico di una stabile organizzazione del datore di lavoro nello Stato estero.
In assenza di una convenzione bilaterale tra l’Italia e lo Stato estero, il lavoratore potrebbe essere soggetto a doppia tassazione, sia in Italia che nel Paese estero. Inoltre, in alcuni Paesi, il datore di lavoro potrebbe essere obbligato a fungere da sostituto d’imposta.
Stabile organizzazione
Il lavoro agile potrebbe configurare una stabile organizzazione della società italiana all’estero. Ad esempio, in Austria, la semplice disponibilità di una postazione fissa come una camera d’albergo e l’uso di strumenti aziendali possono essere sufficienti a creare una stabile organizzazione. È quindi fondamentale verificare le leggi locali per evitare obblighi fiscali imprevisti.
Aspetti legali
Applicazione del Regolamento Roma I
Secondo il Regolamento (CE) N. 593/2008, noto come “Regolamento Roma I”, il contratto di lavoro è disciplinato dalla legge scelta dalle parti. Tuttavia, questa scelta non può privare il lavoratore della protezione offerta dalle disposizioni inderogabili della legge che sarebbe stata applicabile in assenza di scelta. Ad esempio, se la legge del Paese estero prevede una settimana lavorativa standard di 35 ore, come in Francia, il datore di lavoro italiano deve considerare le ore eccedenti come straordinarie, anche se in Italia non lo sarebbero.
Sicurezza sociale
In ambito UE, i lavoratori possono mantenere la contribuzione nel Paese di origine durante distacchi temporanei, a condizione che siano rispettati i requisiti dei Regolamenti (CE) n. 883/2004 e n. 987/2009 e che il lavoratore disponga del certificato A1. Fuori dall’UE, è necessario verificare se esistono accordi bilaterali di sicurezza sociale con il Paese estero. In assenza di tali accordi, potrebbe essere necessario versare contributi previdenziali sia in Italia che nel Paese estero.
Sicurezza sul lavoro
Obblighi del datore di lavoro
Il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza e la salute del lavoratore anche all’estero. Questo include la valutazione dei rischi specifici legati all’attività lavorativa e al contesto in cui viene svolta, la formazione del lavoratore e la sorveglianza sanitaria. È essenziale considerare i rischi specifici del Paese estero, come condizioni socio-politiche, climatiche e sanitarie, e valutare la necessità di polizze assicurative integrative.
Riservatezza dei dati
La normativa italiana impone di garantire la sicurezza e la riservatezza dei dati aziendali anche nel lavoro agile all’estero. È necessario verificare che il Paese estero offra adeguate garanzie di sicurezza informatica e protezione dei dati.
Visti e permessi di lavoro
Lavorare all’estero può richiedere un visto di lavoro, anche all’interno dell’UE per i lavoratori non comunitari. È essenziale verificare la validità del permesso di soggiorno italiano nel Paese di destinazione e ottenere eventuali visti necessari.
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