Decisivo, per la stesura della riforma del processo penale, è stato il lavoro della Commissione Lattanzi, istituita dalla ministra della giustizia, Marta Cartabia, con l’incarico di elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché di prescrizione del reato.
Della Commissione ha fatto parte, tra gli altri, Francesco Arata, noto avvocato penalista e mancato a inizio ottobre. Arata è stato scelto per il suo indiscusso prestigio, a seguito di grandissimi processi come il crack Ambrosiano, Parmalat, Antonveneta, Enimont e tantissimi altri che lo hanno visto protagonista. E soprattutto, per aver dimostrato di svolgere la professione in un modo come solo i grandi avvocati sanno fare.
Vogliamo ricordarlo con le parole di chi, meglio di altri, conosce le caratteristiche di Francesco Arata. Parliamo dell’avvocato Lodovico Isolabella, nel cui studio Arata ha iniziato la sua carriera.
«Ciò che secondo me contraddistingue maggiormente la figura dell’avvocato Arata era questo suo continuo macerarsi nella riflessione: chiudeva gli occhi, rifletteva, e poi esprimeva il suo pensiero.
Proprio questa sua peculiarità lo portò a dirmi, un giorno, di voler abbandonare la professione forense per diventare giudice. Gli dissi, ma sei matto, è la lotta che conta. È la lotta di opposizione per la libertà. Dell’imputato, si. Ma soprattutto del giudice e del giudizio. Perché il giudice per poter decidere deve essere libero. E per poter essere libero deve poter conoscere. E l’unico vero strumento di conoscenza per il Giudice è l’opposizione. L’opposizione alla prospettazione accusatoria. A una verità che, senza opposizione, resta una verità parziale, finta. E l’unico portatore dell’opposizione, l’unico riequilibratore e portatore di verità è l’avvocato. L’avvocato, che vive una incessante lotta per capire e per far capire, al giudice, i fatti. Non le norme, i fatti. La vita.
Arata ha interiorizzato questo passaggio, lo ha fatto proprio e ha portato avanti una filosofia defensionale, che ha origini lontane e si fonda sul rispetto verso il fatto e il senso di libertà e il lato umano e non meramente dogmatico della difesa. Se l’avvocato penalista si riduce al dogma della legge, non può vedere le vere caratteristiche del diritto penale: che sono la ricerca della verità per l’affermazione della libertà.
Arata era questo. E proprio questo lo ha portato a dirmi, proprio due giorni prima che morisse, che la sua preoccupazione più grande era il destino di un suo amico che gli stava a cuore».