Avvocati, lotta di classe e… di genere

Mentre si celebra il matrimonio che cambierà gli equilibri del mercato legale dei prossimi anni, quello tra BonelliErede e una buona fetta di Lombardi Segni e associati, sono stati resi noti i dati delle ultime dichiarazioni dei redditi degli avvocati inviate a Cassa forense. Che certificano il graduale e continuo impoverimento della classe forense.

Due lati della stessa medaglia: l’élite degli avvocati d’affari da un lato, che nelle stanze dei bottoni muove pedine che valgono decine di milioni di euro; la “classe operaia” dei legali di provincia dall’altro, che “campano” con 15 mila euro di reddito l’anno. Qualche numero? A Milano, quartier generale delle grandi law firm, il reddito medio è superiore a 83 mila euro: oltre 45 mila in più rispetto alla media nazionale e quasi 70 mila euro superiore al circondario con il reddito più basso, Palmi, in Calabria, dove gli avvocati dichiarano la miseria di 14.328 euro l’anno. Non solo. Dalla rielaborazione di Le Fonti Legal dei dati di Cassa forense emerge anche che gli avvocati, negli ultimi dieci anni, hanno bruciato 20 mila euro di reddito. Da oltre 58 mila dichiarati nel 2007, anno di inizio della crisi, ai 38.620 delle dichiarazioni 2018, in calo rispetto all’anno scorso e superiori solo ai 37.842 euro dichiarati dagli avvocati nel 2014. Una “lotta di classe”, quindi, ma anche “di genere”: sempre stando alle rielaborazioni effettuate dal Centro studi di Le Fonti Legal l’avvocato uomo guadagna in media oltre il 55 per cento in più rispetto alla collega donna, 52.777 euro contro 23.500.

Un gap che aumenta alla presenza dei grandi studi d’affari: in Lombardia tra avvocato uomo e donna ci passano circa 60 mila euro l’anno, vale a dire una differenza di reddito di oltre il 60 per cento, la più alta a livello nazionale. A seguire il Lazio, dove il “gender salary gap” è pari al 59,8%, che equivalgono a circa 40 mila euro l’anno. A quanto pare, quindi, i grandi studi con sedi a Milano e Roma alimentano il gap di genere. Confermando, peraltro, quanto emerso dall’indagine pubblicata sul numero di aprile di Le Fonti Legal, che ha evidenziato come nei grandi studi d’affari poche donne arrivano alla partnership.

Più numerose all’ingresso della professione forense, le donne avvocato si bloccano nel momento decisivo della carriera: da un lato, infatti, sono ormai arrivate a quota 47,9 per cento rispetto al totale degli avvocati iscritti agli albi, mentre nel 2008 erano il 43,3% e nel 2000 il 33,6%.

Dall’altro, il “gender salary gap” passa dal 17,6% al di sotto dei 30 anni a oltre il 50% tra i 45 e i 49 anni, nel momento clou della carriera. Una “lotta di classe” e di “genere” che esige risposte: dall’Ordine professionale, dalla politica, ma anche, a ben vedere, dalle stanze dei bottoni degli studi legali d’affari.

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