Negli ultimi anni l’attenzione delle imprese al tema della compliance è cresciuta in modo significativo. Con l’estensione della responsabilità amministrativa da reato a nuove fattispecie, da ultimo quelle tributarie, è aumentata anche la sensibilità delle aziende agli innumerevoli rischi penali a cui potrebbero andare incontro in mancanza di un efficace modello organizzativo. Considerato, poi, l’incremento dei reati presupposto della responsabilità 231 negli ultimi anni, è altresì cresciuta la convinzione che il loro numero sia destinato a crescere esponenzialmente. Per evitare di incorrere in un procedimento 231, è necessario che l’azienda si doti di un sistema di compliance che, senza ingessarne l’attività, individui anticipatamente le situazioni di rischio e le prevenga. È qui che il ruolo del consulente diventa cruciale: egli ha il compito di “educare” l’impresa al concetto di responsabilità e all’importanza che riveste una politica di prevenzione. Dopodichè funge da supporto per la messa in atto di questa strategia.
A spiegarlo è Francesco Giovannini, of counsel e capo del dipartimento di white collar crimes di Eversheds Sutherland.
Quali sono le attuali tendenze giurisprudenziali rispetto ai presupposti giuridici della responsabilità dell’ente ex D.lgs 231/01?
In generale, il livello di attenzione e di analisi sulla disciplina del Decreto 231/01, soprattutto da parte della magistratura, si sta alzando; rispetto al passato (anche piuttosto recente), sono in aumento le contestazioni 231 elevate dalle Procure, per cui la dialettica processuale sta consentendo un più attento e sofisticato approccio alla materia.
Purtroppo, però, ancora oggi ci si imbatte in decisioni che finiscono per assimilare la responsabilità ex 231 ad una sorta di responsabilità oggettiva dell’ente nell’interesse o a vantaggio del quale il reato cosiddetto “presupposto” sia stato realizzato.
Questo perché ci sono Pubblici Ministeri e Giudici che continuano a pensare che la commissione stessa del reato da parte della persona fisica (“apicale” o “sottoposto” che sia) rappresenti l’ontologica dimostrazione dell’inefficacia e inidoneità del Modello organizzativo di cui l’ente si sia dotato.
Sempre in tema di presupposti di responsabilità dell’ente, come sono cambiati gli orientamenti nel corso degli ultimi anni e in che modo è possibile, per l’ente, prevenire tali responsabilità?
Alcune recenti sentenze della Cassazione (ad esempio in tema di interesse/vantaggio dell’ente in relazione ai reati connessi alla violazione della disciplina anti-infortunistica) vanno nella giusta direzione, perché sembrano volere escludere, anche a livello dogmatico, quegli “automatismi” repressivi (caldeggiati da molte Procure) che, in verità, non fanno parte né del dettato normativo, né dei presupposti logico-giuridici della 231. Allo stesso tempo, in questi ultimi anni assistiamo ad una maggiore consapevolezza, da parte delle aziende e delle imprese, delle devastanti conseguenze a cui l’ente può andare incontro nel caso in cui sottovaluti (o addirittura trascuri gravemente) le esigenze di compliance, anche e soprattutto in materia 231. La disinvolta applicazione delle misure cautelari interdittive, ad esempio, può portare danni difficilmente riparabili per l’ente, per non parlare del fatto che, sempre più spesso, la semplice pendenza a carico di un procedimento 231 rende difficoltosa la partecipazione ad appalti pubblici.
Qual è il ruolo del consulente in un’ottica di adeguata prevenzione e quali passaggi fondamentali deve compiere l’ente?
Rispetto al passato, il consulente specializzato in materie penalistiche e/o di compliance aziendale sta sempre di più incentrando la sua attività professionale sulla prevenzione: intervenire nella fase patologica è spesso inutile o, comunque, insoddisfacente.
L’ente, qualunque sia il suo campo di attività, deve “giocare d’anticipo” e dotarsi di un apparato di compliance robusto e oculato, idoneo a non “ingessare” la sua attività ma, al contempo, realmente efficace ai fini della prevenzione (a 360°) dei rischi a cui va incontro. In questo senso, il consulente ha il compito di fare comprendere questi concetti ha chi ha le responsabilità decisionali dell’ente e a fungere da supporto per la messa in atto di questa strategia.
Il tema 231 continuerà ad accompagnare le imprese anche nel prossimo futuro. Quali saranno a suo avviso le evoluzioni della materia? Tornerà ad approfondirla nelle prossime iniziative editoriali Le Fonti?
È facile prevedere che il numero di cosiddetti reati presupposto della responsabilità 231 sia destinato a crescere esponenzialmente, anche per mere ragioni “politiche”; ad esempio, più aumenta il novero dei reati presupposto, più sarà facile “perseguire” gli enti e ottenere dagli stessi importanti somme a titolo di sanzioni pecuniarie. Se si guarda all’attuale catalogo dei reati presupposto ci si accorge agevolmente di come sia stata definitivamente abbandonata l’ottica iniziale, che limitava il ricorso a questa forma di responsabilità a poche e mirate fattispecie di reato; oggi ci si trova di fronte ad un sistema repressivo quasi parallelo a quello delle persone fisiche. Il tema è molto complesso e articolato; parteciperò con piacere ad altre vostre iniziative editoriali per approfondire questa tematica.