Così il whistleblowing si estende al settore privato

Più tutele per chi denuncia fatti illeciti nei luoghi di lavoro e nuovi obblighi per le aziende nei modelli organizzativi previsti dalla legge 231.
Come? Ne parlano tre penalisti.

[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Un traguardo significativo che mette la parola fine a un percorso normativo non del tutto facile per il whistleblower (soffiatore del fischietto). Della tutela verso chi denunciava fatti illeciti nel contesto lavorativo se ne parlava da tempo ma prima dell’approvazione a Montecitorio il whistleblowing non aveva una vera e propria regolamentazione e un inquadramento giuridico nell’ordinamento nazionale. Un suo primo esordio si è avuto con la legge n. 190 del 6 novembre 2012, nota come Legge Severino. Quest’ultima, nell’ambito della lotta alla corruzione, ha introdotto una prima disciplina di tutela del dipendente segnalante gli illeciti da lui riscontrati nel luogo di lavoro. L’impianto normativo, però, si rivolgeva ai crimini legati solo alla sfera pubblica, escludendo quella privata. Con l’ok definitivo del novembre scorso è stata migliorata e integrata la suddetta legge introducendo la tutela anche al settore privato: il provvedimento, infatti, da un lato estende la norma già vigente per gli impiegati pubblici includendo gli enti pubblici economici e gli enti di diritto privato sotto controllo pubblico, dall’altro allarga la tutela al settore privato inserendo specifici obblighi a carico delle società nei modelli organizzativi previsti dalla legge 231. Chi denuncia, sarà inoltre tutelato dall’anonimato e dalla garanzia di non avere ritorsioni e discriminazioni. L’approvazione della norma ha avuto anche una valenza internazionale: ha permesse all’Italia di ridurre il gap con gli Stati Uniti e con i sistemi di common law, dove il fenomeno sulle segnalazioni delle irregolarità è disciplinato già da molti anni, con la legge Sarbanes Oxley del 2002 e i regolamenti applicativi della stessa.
Per comprendere l’importanza della legge sul whistleblowing e capire cosa cambierà per i dipendenti e per le imprese, sia pubbliche che private, Le Fonti Legal ha intervistato tre noti penalisti: Massimo Dinoia di Dinoia Federico Pelanda Simbari Uslenghi Avvocati, Nerio Diodà di Studio Legale Diodà e Angelo Giarda di Studio legale Giarda.

Come si è arrivati alla legge e perché è ritenuta così importante?

Giarda Il 30 novembre 2017, secondo una nota inviata al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la legge con la quale il Parlamento ha disciplinato il cosiddetto whistleblowing, che, secondo una prassi di origine inglese, ma più specificamente un uso invalso negli Stati Uniti d’America, indica la denuncia, al di fuori dell’ambito pubblico o privata di origine, di una attività illecita di varia natura o fraudolenta. Nel nostro ordinamento una prima disciplina al riguardo è stata introdotta con l’art. 1, punto 51 della legge 6 novembre 2012 n. 190, non a caso inserita nel contesto di una legge dedicata in generale alla “prevenzione e repressione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione”. Tale intervento legislativo ha consistito di introdurre l’art. 54 bis nel decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, recante “norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”; con tale disposizione per la prima volta nel nostro ordinamento il whistleblowing era denominato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”. La disposizione in oggetto segnava un momento importante, perché affrontava un problema di non facile soluzione: trovare un punto di equilibrio tra la sollecitazione del pubblico dipendente a collaborare con gli organi di controllo giudiziari o disciplinari per segnalare illeciti  di  varia  natura  commessi nel rispettivo ambito lavorativo e la necessaria tutela personale e funzionale del pubblico dipendente  denunciante o collaborante (purtroppo in  certi  ambienti culturali l’omertà e più apprezzata della tensione verso la verità). La norma, pur apprezzata sotto diversi punti di vista, aveva subito denunciato i propri limiti, a cominciare dalla identificazione del concetto normativo di pubblico dipendente. Si è sentita, così, la necessita di confezionare un dettato normativo che potesse perseguire lo scopo di tutelare l’attività di segnalazione di condotte illecite attraverso la  garanzia dell’anonimato, la protezione nei confronti di misure discriminatorie o  ritorsive nell’ambito del rapporto di lavoro, nonché mediante la previsione di una giusta causa per quanta concerne la rivelazione di notizie coperte da determinati obblighi di segreto.

Come si inserisce la nuova norma all’interno della lotta alla corruzione in Italia?
Dinoia L’introduzione del whistleblowing rappresenta un primo concreto tentativo di contrasto preventivo alla corruzione nel nostro ordinamento, dopo anni in cui la (apparente) lotta alla corruzione era stata condotta a colpi di sanzioni più severe e nuove fattispecie di reato; misure tanto tradizionali quanto inefficaci in un’ottica general-preventiva, soprattutto perché la peculiarità del fenomeno corruttivo è rappresentata proprio dal patto di omertà che si instaura tra corrotto e corruttore, normalmente indissolubile perché, per spezzarlo, bisognerebbe innanzitutto denunciare se stessi. È questo il motivo per cui la corruzione è sempre stata un reato ad altissima cifra nera ed è questo il motivo per cui, parecchi anni orsono, all’epoca di Mani Pulite, alcuni dei principali protagonisti di quella stagione giudiziaria (compreso il sottoscritto) avevano elaborato la cosiddetta proposta di legge di Cernobbio, che mirava proprio a spezzare quel patto di omertà, garantendo l’impunità a chi dei due, tra corrotto e corruttore, a determinate condizioni ed entro un termine prefissato, denunciasse l’altro. Il whistleblowing, in un certo senso, è figlio (o, meglio, nipote) di quell’impostazione, in quanto tende a tutelare la segnalazione di attività illecite da parte dei dipendenti dell’amministrazione pubblica o di aziende private, garantendo protezione da possibili ritorsioni, sanzioni, discriminazioni collegati alla denuncia. Se la ratio ispiratrice della riforma è quindi condivisibile, la reale efficacia di queste nuove previsioni, soprattutto nell’ambito penale, è ancora tutta da dimostrare; alcune di esse appaiono, in verità, di dubbia portata innovativa. Per fare solo un esempio: la norma che dovrebbe garantire l’anonimato dei dipendenti pubblici segnalanti (un punto nevralgico, per evitare ritorsioni, ma anche delicatissimo per la necessità di bilanciarlo con il diritto di difesa dell’indagato/imputato), dopo aver in effetti previsto che “l’identità del segnalante non può essere rivelata”, circoscrive questo divieto, nella materia penale, ai “modi” e ai “limiti previsti dall’art. 329 c.p.p.”, che è la norma che sancisce il normale segreto degli atti d’indagine “fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. La “nuova” previsione sembra quindi, per la verità, aver ribadito un principio (quello della segretezza degli atti d’indagine) già notoriamente presente nella materia penale. Se a questo si aggiunge che per i delitti contro la pubblica amministrazione (tra cui, appunto, la corruzione) è ammessa l’applicazione di misure cautelari personali, che anticipano di molto la conoscenza per l’indagato degli atti alla base delle accuse, ben si comprende come il divieto di rivelazione dell’identità del segnalante, così pomposamente sancito dalla norma, sia, in realtà, ben più temperato.

Quali sono le principali novità introdotte dalla legge?
Diodà In sintesi, le principali novità riguardano il whistleblower (segnalante), il quale è più garantito, nel senso che è previsto il suo reintegro in caso di licenziamento e la nullità degli atti discriminatori nei suoi confronti; è prevista l’inversione dell’onere della prova e quindi sarà l’ente che dovrà dimostrare che la misura nei confronti del segnalante è stata presa per motivi estranei alla segnalazione; in caso di mancata o erronea applicazione delle procedure, sono previste sanzioni a carico dei responsabili per la prevenzione della corruzione; è stata ampliata la protezione della identità del segnalante, con la previsione che nei procedimenti disciplinari l’identità può essere rivelata solo con il consenso dello stesso; è prevista anche la tutela per il segnalante dipendente o collaboratore delle imprese fornitrici di beni o servizi,  che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica. Infine, è prevista la protezione anche per i dipendenti del settore privato che effettuino segnalazioni di illeciti agli organismi di vigilanza. In particolare, il settore privato viene investito di nuove significative responsabilità.
Le norme stabiliscono che nei modelli organizzativi e di gestione, predisposti dalle società ai sensi del decreto 231/2001 per prevenire la commissione di reati, siano previsti il divieto di atti di ritorsione o discriminatori e specifici canali di segnalazione (di cui almeno uno con modalità informatiche), che garantiscano la riservatezza dell’identità. I modelli dovranno anche adottare sanzioni nei confronti di chi violi la tutela del segnalante e di chi (con dolo o colpa grave) effettui segnalazioni infondate. Vale anche per il settore privato la nullità del licenziamento ritorsivo e di ogni altra misura discriminatoria. La segnalazione nell’interesse all’integrità delle società (sia private che pubbliche) e alla prevenzione e repressione di illeciti, costituisce giusta causa di rivelazione del segreto d’ufficio, professionale, scientifico e di violazione dell’obbligo di fedeltà all’imprenditore.
La scriminante non si applica nei rapporti di consulenza o di assistenza o nel caso in cui il segreto sia rivelato al di fuori degli specifici canali di comunicazione. Le nuove norme sono certamente molto innovative rispetto a quelle precedenti e si può ritenere che, se correttamente applicate, possano contribuire a rendere la pubblica amministrazione, le società pubbliche e quelle private meno esposte al fenomeno corruttivo. Molti sono gli aspetti tecnico processuali e penali che dovranno trovare un equilibrio nella fase applicativa e che la giurisprudenza dovrà risolvere.

Ci sono differenze di applicazione ed efficacia tra settore pubblico e settore privato?
Dinoia La tutela dei dipendenti appartenenti al settore privato non pare essere della stessa intensità di quella accordata ai dipendenti pubblici. Un primo aspetto di divergenza riguarda l’oggetto della segnalazione; per il solo dipendente del settore privato, la legge precisa che la segnalazione di condotte illecite debba fondarsi su “elementi di fatto precisi e concordanti” e impone di inserire nei modelli di organizzazione, gestione e controllo “sanzioni nei confronti di chi […] effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate”. Tenuto conto che, invece, il dipendente pubblico viene privato delle tutele solo dopo una sentenza di condanna civile o penale in relazione alla comunicazione effettuata e che è stato espunto il procedimento disciplinare obbligatorio inizialmente previsto per il caso di segnalazione infondata e non in buona fede, le discipline appaiono fortemente sbilanciate. Previsioni diverse sono anche quelle che regolano l’anonimato del segnalante. Come ho già detto, la legge prevede che l’identità del pubblico dipendente segnalante “non possa essere segnalata”, nel procedimento penale, fino alla chiusura delle indagini (nel procedimento disciplinare, quando possibile, l’anonimato è mantenuto fino alla fine); una previsione di discutibile portata innovativa, ma che prevede nondimeno un divieto di rivelazione ben preciso. Nella disciplina del settore privato non si riscontra una simile disposizione; il legislatore ha ritenuto di rimettere la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante a quei canali per la segnalazione degli illeciti agli apicali che devono essere adesso predisposti nei modelli 231. Le evocate differenze destano qualche perplessità, tanto più se si considera che il dipendente pubblico, quando sia qualificabile come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, ha un preciso obbligo di comunicazione dei reati, penalmente sanzionato ai sensi dell’art. 361 c.p.
Giarda Su questo tema è da segnalare la rubrica della nuova legge, che dà anche la misura delle novità più significative: “disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reato o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. Con tale provvedimento legislativo è stato interamente riscritto l’art. 54 bis del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165; ne è derivata una serie di disposizioni, di cui si delinea una descrizione di sintesi, che potrebbe dare già la misura dei principali elementi di novità. Anzitutto il nuovo articolo 54 bis ha avuto cura di precisare il soggetto che debba essere considerato come un “dipendente pubblico”; si intende come tale “il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all’art. 3” di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165. Il comma 2 dell’art. 54 bis aggiunge, poi, una indicazione che è del tutto nuova rispetto alla normativa precedente, in quanto, sempre ai fini del nuovo art. 54 bis, dev’essere inteso come dipendente pubblico anche il “dipendente di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell’art. 2359 del codice civile”. Si aggiunge, infine, che la disciplina dell’articolo in oggetto “si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica”. Le novità da questo punto di vista sono evidenti ed importanti, dal momento che la nuova disciplina si applica anche agli enti di diritto privato rispetto ai quali si può configurare la figura del dipendente pubblico.
Resta da segnalare che risulta importante il richiamo all’art. 2359 del codice civile, che disciplina le linee normative delle “società controllate e società collegate”; a tal proposito non si è mancato di sottolineare che le nuove disposizioni meriterebbero un approfondimento non secondario in quanto i destinatari di tutta la nuova disciplina dovrebbero essere meglio identificati magari attraverso norme di attuazione. La nuova disposizione si è preoccupata di identificare anche le autorità o gli enti a cui il pubblico dipendente, “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione”, può segnalare le condotte da lui ritenute illecite. Tali enti o autorità possono essere il “responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all’art.1 comma 7 della legge 6 novembre 2012 n.190”, ovvero l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ovvero l’Autorità giudiziaria ordinaria o quella contabile.

Cosa succede se si verificano atti discriminatori in presenza di una denuncia?
Giarda Al di là delle indicazioni normative pubblicate sulla Gazzetta ufficiale, potrebbe verificarsi l’adozione di “misure ritenute ritorsive…nei confronti del segnalante”. Se ciò avvenisse, la notizia di tali misure dovrebbe essere comunicata in ogni caso all’Anac dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L’Anac informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza”. Per garantire sempre la tutela del segnalante, la sua identità non può essere rivelata ed e, comunque, coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’art 329 del codice di procedura penale; tale segnalazione, inoltre, è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241 e successive modificazioni. Una volta acquisita la segnalazione, è compito   dell’Anac, sentito il garante per la protezione dei dati personali, adottare “apposite linee guida relative alle procedure per Ia presentazione e la gestione delle segnalazioni”.
Le segnalazioni prenderanno la via anche dell’Autorità giudiziaria ordinaria e, a tale riguardo, l’art 3 del nuovo decreto legislativo integra la disciplina dell’obbligo di segreto di ufficio, aziendale, professionale, scientifico e industriale. Molto significativo è il nuovo assetto normativo collegato all’eventuale accertamento “nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’Anac” dell’adozione “di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche o di uno degli enti di cui al comma 2”. Le iniziative sono molteplici: anzitutto, è prevista, nei confronti del responsabile che ha adottato una misura discriminatoria, una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 a 30.000,00 euro; qualora sia accertata l’assenza di procedure interne per  l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di  procedure non  conformi a quelle del comma  5, si può applicare una  sanzione pecuniaria che va  da 10.000,00 a 50.000,00 euro; ove  sia  accertato che  il  responsabile  di  attività  di  verifica  e  analisi  delle segnalazioni non  abbia  posto  in essere  tale attività si applica  la  sanzione amministrativa da  10.000,00 a 50.000,00 euro; da  tener  presente, infine,  che “il  segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione è integrato nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs 4 marzo 2015, n. 23”.

Come cambiano i modelli 231 con la nuova legge?
Dinoia Come si è già accennato, il modello 231 ha valenza decisiva al fine di consentire la raccolta di informazioni su eventuali attività illecite e impedire ritorsioni nei confronti dell’autore della segnalazione. Secondo il testo normativo, essi devono adesso prevedere: canali informativi che, garantendo la riservatezza dell’identità del segnalante, consentano ai soggetti in posizione apicale e a quelli a loro subordinati di presentare le segnalazioni; almeno un canale alternativo di segnalazione che garantisca, con modalità informatiche, la riservatezza del segnalante; il divieto di atti di ritorsione o discriminatori nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione; sanzioni nei confronti di chi violi le suddette misure di tutela del segnalante nonché nei confronti di chi effettui, con dolo o colpa grave, segnalazioni che si rivelano infondate.
Per ovviare ai citati disallineamenti nella normativa, i modelli potrebbero replicare la più compiuta disciplina prevista per i dipendenti pubblici. Per fare solo un esempio, il giudizio sulla natura dolosa o colposa della segnalazione infondata (la cui intrinseca discrezionalità potrebbe limitare l’iniziativa di segnalazione) potrebbe essere agganciata, nel modello 231, ad una sentenza di condanna civile o penale, allo stesso modo di quanto avviene adesso nel settore pubblico.
Diodà Le norme stabiliscono che nei modelli organizzativi e di gestione, predisposti dalle società ai sensi del decreto 231/2001 per prevenire la commissione di reati, siano previsti il divieto di atti di ritorsione o discriminatori e specifici canali di segnalazione (di cui almeno uno con modalità informatiche), che garantiscano la riservatezza dell’identità. I modelli dovranno anche adottare sanzioni nei confronti di chi violi la tutela del segnalante e di chi (con dolo o colpa grave) effettui segnalazioni infondate.
Giarda I modelli organizzativi devono necessariamente prevedere: uno o più canali, che consentano ai soggetti indicati  nell’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela  dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su  elementi di  fatto precisi  e  concordanti, o  di  violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; almeno un  canale  alternativo di  segnalazione idoneo a  garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante. Sempre nel modello organizzativo e di gestione dev’essere contenuto il divieto di atti di ritorsione o discriminatori nei confronti del segnalante, per motivi collegati alla segnalazione stessa. Lo stesso modello si preoccupa non solo di sanzionare coloro che violano le misure di tutela del segnalante, ma anche di sanzionare coloro che effettuano “con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate”.
Molto dettagliate le tutele civilistiche del segnalante, che sia stato soggetto a misure discriminatorie, soprattutto con riferimento a provvedimenti di diritto del lavoro, che sono considerati nulli ai fini civilistici. Non sarà né facile né immediato l’adeguamento alle nuove disposizioni e sarà cura degli Organismi di Vigilanza far sì che il segnalante non sia considerato una spia indesiderata, ma un soggetto, che agisce nel nome e nell’interesse della trasparenza e della legalità a cui ogni azienda deve anelare.

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