Sono circa 3 milioni (il 13,2% del totale degli occupati) i lavoratori che si sono ritrovati da un giorno all’altro a casa per via dei provvedimenti “straordinari” adottatati dal Governo nell’ultima settimana per far fronte all’emergenza sanitaria da COVID-19.
Circa un milione di questi sono lavoratori autonomi, mentre 1,9 milioni dipendenti (per lo più addetti alle vendite). E mentre sono ancora tante le persone al lavoro in questi giorni per garantire servizi essenziali, 3,6 milioni (16% del totale) sono occupati in settori “a rischio chiusura”.
È quanto emerge dall’analisi statistica della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Gli occupati in Italia ai tempi del Coronavirus”, che fotografa 23 milioni di lavoratori (5 milioni 306 mila autonomi e 17 milioni 146 mila dipendenti) che devono fare i conti con un’Italia “bloccata” da misure e provvedimenti di portata straordinaria. Dalla promozione dello smart working alla chiusura delle scuole, dal crollo della domanda di beni e servizi al blocco su tutto il territorio nazionale, fino al prossimo 25 marzo, delle attività commerciali non di prima necessità (bar e ristoranti, centri commerciali, centri estetici, negozi di abbigliamento).
L’emergenza sanitaria ha stravolto, in pochi giorni, l’intera geografia occupazionale del Paese definendo, di conseguenza, nuove e inedite condizioni di lavoro. A fronte di chi resta a casa “per decreto”, ci sono 7,9 milioni di lavoratori (35,2% degli occupati) che, malgrado l’emergenza, non possono fermarsi, in quanto impegnati ad erogare beni e servizi essenziali per la collettività.
Tra questi: medici e infermieri (1 milioni 320 mila occupati nell’assistenza sanitaria), ma anche forze dell’ordine e dipendenti delle P.A. (1 milione 243 mila), insegnanti e docenti universitari che da casa garantiscono continuità formativa (1 milione 587 mila), servizi pubblici essenziali (erogazione energia, gas, acqua, pulizia e raccolta rifiuti) e tante altre attività private: il commercio, il credito, l’informazione. Inoltre, 3,6 milioni (16% del totale) sono occupati in settori “a rischio chiusura” per un crollo della domanda o uno stallo dei servizi senza precedenti, come turismo (372 mila occupati in servizi di alloggio e agenzie), intermediazione immobiliare (149 mila), costruzioni (1,3 milioni) e alcune attività professionali, soprattutto di tipo tecnico. Di questi, 1,3 milioni sono
lavoratori autonomi che giorno dopo giorno devono decidere se chiudere o proseguire l’attività
destreggiandosi tra congedi, ferie e permessi, e 2,3 milioni dipendenti in questi settori, che oltre alla
paura del contagio hanno quella di perdere il lavoro. L’incertezza governa anche gli 8 milioni (35,6%)
di occupati in settori per lo più manifatturieri e di servizio alle imprese, dove l’impatto dell’emergenza
Coronavirus è stato meno devastante, ma comunque forte.
“La gestione del personale (o del lavoro) sta diventando un fattore sempre più critico in questo momento per le aziende, che si trovano a fronteggiare nuove e straordinarie responsabilità di tutela della salute e sicurezza in un contesto di progressivo stallo economico e di incertezza sui provvedimenti che saranno adottati a supporto
dell’emergenza”, ha dichiarato Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti
del Lavoro. “A fronte dei sempre più numerosi lavoratori che resteranno a casa nei prossimi giorni,
per i quali è necessario mettere al più presto in campo strumenti di sostegno, non dobbiamo
dimenticare la condizione più precaria del lavoro autonomo. Il 20% degli autonomi si ritrova a casa
perché interessato dal blocco attività e un altro 24,3% continua a mandare avanti la propria attività in
settori che sono oramai al collasso”. “Indispensabile, quindi, guardare con attenzione a questa
componente importante del mercato del lavoro, che è uscita già stremata dalla crisi del 2008 e che
sarà decisiva per la ripresa quando ci saremo lasciati alle spalle questa emergenza”, ha concluso.