Andrea Stecconi, CEO di Execus, riflette sul panorama aziendale e sullo scenario normativo italiano ed europeo in tema di greenwashing.
La sostenibilità emerge come una delle questioni più complesse e urgenti dell’intera politica globale. Dall’Agenda 2030 ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, le organizzazioni internazionali stanno chiamando gli Stati, i governi e i cittadini a contribuire alla causa ambientale e sociale. Sono i consumatori stessi a inserire la sostenibilità tra le prime priorità. Un’indagine condotta nel 2022 dall’Institute for Business Value su un campione di 16.349 consumatori in 10 paesi ha rilevato come per loro l’importanza della sostenibilità ambientale sia cresciuta significativamente solo a distanza di un anno e il 49% degli intervistati ha riconosciuto di aver pagato un sovrapprezzo per prodotti sostenibili. In questo contesto, le aziende svolgono un ruolo cruciale nella transizione versa una società più sostenibile.
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Greenwashing, a che punto sono le aziende italiane
L’IBM, Institute for Business Value, rileva come la maggior parte delle aziende riconosca la sostenibilità come vettore strategico in grado di apportare migliori risultati in termini economici. Secondo lo studio annuale Seize the Change di EY le aziende italiane, sia le piccole sia le medie imprese, sono impegnate concretamente nell’integrazione della sostenibilità all’interno del proprio modello di business. Tuttavia, la velocità variabile sui singoli temi e la disomogeneità tra i settori dimostrano come questo processo non sia estendibile uniformemente a tutti. Dai dati del rapporto, calibrato su una survey di 350 imprese, emerge come l’80% delle aziende quotate abbia sviluppato un piano di sostenibilità (+32% rispetto al 2020) e il 30% abbia definito target quantitativi. Inoltre, il 47% delle aziende intervistate ha definito degli obiettivi e azioni di cambiamento climatico incrementando l’uso di energie rinnovabili. Quasi otto aziende su dieci ha definito un processo di identificazione e gestione delle priorità-rischi legati ai cambiamenti climatici. Il trend positivo delle aziende italiane in materia di sostenibilità viene ribadito anche dall’analisi delle performance economico-finanziarie. Esiste, infatti, una potenziale relazione tra gli investimenti reali sulla sostenibilità nel breve periodo e l’eventuale crescita nel lungo. Da notare come, nonostante i buoni propositi, diversi dirigenti riscontrino difficoltà nel finanziare gli investimenti a causa della spirale inflazionistica. Una politica che voglia essere efficace rispetto alla sostenibilità non può quindi prescindere da un riassetto del sistema degli investimenti.
Il quadro europeo
A livello europeo l’Unione ha formulato ambiziose politiche e obiettivi per promuovere la sostenibilità aziendale attraverso il Green Deal e altre iniziative. Difatti, l’adozione di indicatori ESG (Ambientali, Sociali e di Governance) è ormai prassi ordinaria nelle valutazioni delle aziende, evidenziando l’importanza attribuita ai criteri non finanziari. Nel dettaglio, il riferimento è alla Direttiva UE 2022/2464 relativa alla rendicontazione societaria di sostenibilità. Questa direttiva, pur apportando modifiche sostanziali alle direttive 2004/109/CE, 2006/43/CE e 2013/34/UE, avrà un impatto significativo sulle pratiche aziendali in Europa. Nei prossimi anni le imprese europee (o quelle non appartenenti all’UE che generano ricavi superiori a 150 milioni di euro e hanno una presenza tramite succursale nell’UE) saranno tenute a divulgare informazioni dettagliate riguardanti gli effetti del loro modello aziendale sulla sostenibilità, sia a livello esterno (ad esempio, impatti sul clima e diritti umani) sia interno.
Ma in che modo le aziende costruiscono una strategia di marketing improntata alla sostenibilità? Da un lato c’è il cosiddetto green marketing. Il marketing ecologico si riferisce a una strategia volta a sensibilizzare i consumatori rispetto a prodotti disegnati e realizzati con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale. Questa strategia, che consolida la reputazione e l’immagine del brand, è ben diversa dal greenwashing. Difatti, il cosiddetto “ambientalismo di facciata” consiste nel proclamare un grande sforzo eco-friendly senza tuttavia avviare un effettivo e concreto cambiamento nel senso della sostenibilità. Il greenwashing presenta quindi un duplice effetto: da un lato allargare il proprio segmento di consumatori per attirare quelli più sensibili alla sostenibilità; dall’altro deviare l’attenzione dell’opinione pubblica da eventuali difetti del prodotto o dai danni ambientali derivanti dalle attività produttive aziendali.
Un rapporto redatto dalla Commissione Europea nel 2021 quantifica la diffusione del fenomeno: il 42% dei siti web aziendali che affermano di promuovere prodotti ecologici presenta green claim ingannevoli o pratiche commerciali scorrette. Per evitare queste distorsioni il Parlamento Europeo sta esaminando una proposta di Direttiva della Commissione volta a modificare le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE. La modifica, che disciplina unicamente i claim espliciti, mira a potenziare la responsabilità dei consumatori per la transizione verde, migliorando la tutela contro le pratiche sleali e fornendo informazioni affidabili, complete e confrontabili sulle pratiche commerciali scorrette. Inoltre, essa si concentra esclusivamente sulle questioni legate alla sostenibilità ambientale, escludendo aspetti legati alla sostenibilità economica e sociale. Diversi i Paesi impegnati dal punto di vista normativo nella regolazione del fenomeno del greenwashing. L’Italia, dove è significativo l’intervento dell’autorità di vigilanza del mercato e dei tribunali; la Francia con la legge sul clima e la resilienza; la Germania, dove il greenwashing viene disciplinato nella legge contro la concorrenza sleale e nel Codice civile tedesco; infine, il Regno Unito con il Green Claims Code emanato nel 2021 dalla Competition Markets Authority.
Conclusioni
In conclusione, la sostenibilità ha cambiato strutturalmente il core business delle aziende. L’adozione di politiche sostenibili rappresenta un driver per aumentare la propria competitività nei mercati di riferimento, creando valore di medio e lungo termine per tutti gli stakeholder, e anche una necessità per rispondere alle sfide sistemiche che la società ha di fronte. La normativa, europea e non, fornisce uno strumento importante per tutelare il consumatore rispetto a prodotti falsamente ecologici e per proteggere le stesse imprese da pratiche concorrenziali sleali.