Il modello, imposto dalla normativa, si colloca all’interno di un percorso terapeutico che lo qualifica come strumento di compliance e gestione del rischio. Ecco perché.
La legge 219/2017 (“Norme in materia di consenso informato e di trattamento”) ha avuto, nel nostro ordinamento, un impatto certamente innovativo, soprattutto laddove ha previsto che “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte” può “esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari”.
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