Il ruolo chiave dell’Organismo di Vigilanza

L’Organismo di Vigilanza è la chiave del modello di organizzazione aziendale ex D.Lgs. 231/2001.

L’Organismo di Vigilanza è la chiave del modello di organizzazione aziendale ex D.Lgs. 231/2001. Oltre ai compiti di sorveglianza sul funzionamento, l’aggiornamento e l’applicazione del modello, l’Organismo è infatti in una posizione di forza rispetto a tutte le funzioni aziendali con compiti di vigilanza e di monitoraggio sia interne all’impresa sia esterne, come collegi sindacali, revisori, società di revisione. L’Odv deve infatti necessariamente fare riferimento sia su propri accertamenti e riscontri, sia sulle verifiche che eseguono gli altri organismi. In tutto ciò, il ruolo di primo piano nell’implementazione di un modello impermeabile ai rischi, spetta al professionista fiduciario della società e in particolare all’avvocato, che deve comprendere qual è la cultura seguita dall’azienda per raggiungere gli obiettivi prefissati. Lo afferma Nicola Lucarelli, partner fondatore dello studio legale Lucarelli & Lavanga, che con Le Fonti Legal ha fatto il punto in materia di compliance e modelli organizzativi 231.

Quale importanza riveste, per le imprese, l’adozione di un modello organizzativo 231 al fine di escludere o comunque limitare le responsabilità?
Come noto, il D. Lgs. 231 dell’8 giugno 2001, ha introdotto un regime di responsabilità penale a carico delle società in relazione ad alcuni reati commessi o tentati da amministratori, dipendenti e soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza delle società nell’interesse o a vantaggio delle stesse. Tuttavia, il medesimo decreto legislativo prevede che, laddove prima della commissione di reati siano stati efficacemente attuati, da parte della governance, modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire i reati stessi, la responsabilità della società viene esclusa. Sicché, sebbene la Compliance 231/2001 non sia obbligatoria, essere conformi è un’opportunità che la 231 concede alle aziende o enti in genere per poter ridurre il rischio di essere chiamati a rispondere per uno dei reati sanzionati dalla 231 medesima. Infatti, l’azienda o ente in genere che ha intrapreso il programma di conformità alla 231 ha uno strumento difensivo in più nell’ipotesi di contestazione di un reato: invocare la propria diligenza organizzativa per richiedere l’esclusione o la limitazione della propria responsabilità derivante da uno dei reati sanzionati dalla 231.
È evidente, pertanto, come risulti di palmare importanza che le società adottino tale modello organizzativo di gestione e controllo proprio al fine di limitare o addirittura escludere responsabilità non ascrivibili direttamente al proprio operato.

Qual è il ruolo che riveste il consulente nell’elaborazione di un modello che sia il più impermeabile possibile ai rischi?
I ruoli che il professionista fiduciario della società può essere chiamato a svolgere nell’ambito della normativa in oggetto sono molteplici, in quanto la responsabilità che nasce per le società è estremamente variegata.
L’avvocato, insieme ai titolari e ai professionisti esperti nelle materie da trattare, deve in primo luogo comprendere qual è la cultura seguita dall’azienda per raggiungere gli obiettivi ed i valori prefissati, comprendere come costruire una valida organizzazione aziendale e deve porre particolare attenzione al doveroso rispetto delle norme da parte dell’azienda al fine di evitare, per quanto possibile sia pesanti sanzioni sia di incorrere in seri danni economici e lesioni alla reputazione aziendale. Il professionista, pertanto, sulla scorta della tipologia di società, dell’oggetto sociale perseguito dalla stessa e dei rapporti commerciali in essere ben potrà redigere, unitamente all’imprenditore, il citato modello, plasmandolo su misura alle esigenze ed ai rischi della società, in quanto le sanzioni previste a carico dell’impresa che incorre in uno dei reati di cui al D. Lgs. n. 231/2001 sono non solo pecuniarie, ma anche interdittive e legate alla reputazione dell’azienda e possono avere un costo molto elevato, in termini finanziari, competitivi e di immagine.

Qual è l’importanza che riveste la nomina di un organismo di vigilanza?
L’Organismo di Vigilanza si può definire il fulcro di tutta la struttura del modello. Infatti, oltre ai compiti di sorveglianza su funzionamento, aggiornamento ed applicazione del Modello, il Decreto Legislativo lo ha posto in una posizione centrale e di forza nei confronti di tutte le funzioni aziendali con compiti di vigilanza e di monitoraggio sia interne – quali la funzione audit, il comitato audit ed il comitato sul controllo interno – se esistenti, sia sulle funzioni di controllo esterno all’azienda – quali i collegi sindacali, i revisori, le società di revisione. Ciò in quanto l’Organismo di Vigilanza deve necessariamente fare riferimento, per il corretto svolgimento delle attività di sorveglianza e controllo, sia su propri accertamenti e riscontri, sia sulle verifiche che eseguono istituzionalmente o per legge tutti gli organismi sopra menzionati. Tutto ciò porta l’Organismo di Vigilanza, per forza di cose, a svolgere un duplice controllo: quello istituzionale sulle procedure adottate nel “Modello”, sulla loro validità, funzionamento ed aggiornamento, e, contestualmente, quello sulla validità dei controlli eseguiti dagli organi sopra citati, trovando il proprio compito facilitato dal fatto di potersi valere di tutte le evidenze e le attività di verifica eseguite dai medesimi. Tuttavia, è bene precisare che, finché il legislatore non avrà fatto chiarezza sulle operazioni di verifica che si sovrappongono nei vari organi preposti al controllo, resterà al buon senso e alla correttezza professionale dei professionisti coinvolti nelle operazioni di verifica e controllo adeguare i propri comportamenti per assolvere il fine ultimo dell’interesse dell’azienda.

Il tema “modelli 231” continuerà ad accompagnare le imprese anche nel prossimo futuro. Quali saranno a suo avviso le evoluzioni della materia? Tornerà ad approfondirla nelle prossime iniziative editoriali Le Fonti?
Le evoluzioni della materia saranno, a mio avviso, tante ed imprevedibili in quanto strettamente connesse alla volontà del legislatore di considerare un determinato comportamento sanzionabile o meno. Credo che i rischi più concreti possano derivare, tuttavia, dalle materie che saranno disciplinate ed approfondite in sede di transizione ecologica a seguito della recente istituzione dell’omonimo Ministero. Non appena vi saranno rilevanti novità legislative anche di carattere comunitario, sarà mia intenzione approfondire il tema nelle prossime iniziative editoriali Le Fonti.

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