È arrivata la seconda ondata. Ed è scattato, di conseguenza, un nuovo allarme rosso per i professionisti, già colpiti nei primi mesi di pandemia e con pochi aiuti a disposizione.
L’80% ha infatti dichiarato una perdita di fatturato negli ultimi mesi, e nel 35% dei casi il crollo è stato superiore al 50 per cento. Uno tsunami. Che ora le categorie professionali non vogliono più affrontare a mani nude come nei mesi scorsi ma con strumenti adeguati che il governo deve decidersi di mettere a disposizione. Va in questo senso la lettera congiunta inviata nei giorni scorsi al premier Giuseppe Conte dai presidenti degli ordini dei consulenti del lavoro e dei dottori commercialisti, Marina Calderone e Massimo Miani. Con la richiesta di attivare misure “di ristoro” come quelle varate per le aziende colpite dalle ultime disposizioni anti contagio (dpcm 24 ottobre 2020). Il motivo è che tutte le attività professionali hanno investito in soluzioni informatiche per continuare a lavorare e ora molti studi sono invece costretti a chiudere per casi di malattia, mentre gli adempimenti non aspettano.
Tra le varie categorie professionali, però, come detto in più occasioni su Le Fonti Legal, ci sono alcuni che se la passano peggio di altri. È il caso degli avvocati. Secondo un sondaggio che abbiamo realizzato su un campione di cinque mila avvocati, la base imputa agli organi di rappresentanza dell’avvocatura un’attività nulla o insufficiente nei confronti del governo per incentivare gli aiuti necessari nei confronti dei professionisti. Ma c’è di più. Tra le principali accuse emerge anche la poca vicinanza e sensibilità alle vere problematiche degli avvocati e la necessità di un maggiore coinvolgimento dei professionisti nelle scelte delle istituzioni, anche attraverso la riforma del sistema di rappresentanza dell’avvocatura.
Andando a vedere alcuni numeri, circa il 60 per cento giudica nullo o scarso l’operato degli organi di rappresentanza nei confronti delle istituzioni nel periodo emergenziale. Quasi il 70% dà un giudizio insufficiente o scarso alla richiesta di valutare la vicinanza alle problematiche effettive degli avvocati. Considerando i singoli organi di rappresentanza, il voto migliore, o “meno peggio”, va alla Cassa forense, il peggiore ad Asla, l’Associazione degli studi legali d’affari, ma comunque sono tutti ampiamente sotto la sufficienza. Serve un cambio di passo, insomma. Difficile da immaginare se si pensa alla situazione attuale del Consiglio nazionale forense, i cui vertici sono stati rimossi ancora prima dello scoppio della pandemia, e che oggi è praticamente commissariato. Senza contare la situazione di perenne conflitto interna alla categoria forense.
Certo è che questa crisi ha aperto il cosiddetto “vaso di Pandora”: il sistema ordinistico, per come è stato strutturato negli anni ’30 e ben poco riformato, è ancora attuale?