Il sistema penitenziario si rinnova

La fase dell’esecuzione penale quasi mai trova il favore delle cronache.

La fase dell’esecuzione penale quasi mai trova il favore delle cronache. Quando viene commesso un delitto di qualsiasi genere giornali, televisione e mezzi di informazione on-line dedicano ampi spazi al fatto e, spesso, accendono discussioni sulla necessità di arrestare subito il presunto colpevole.
Non dovrebbe funzionare così. Le misure cautelari dovrebbero essere l’ultima risorsa cui ricorrere per prevenire la commissione di altri delitti, la fuga del supposto responsabile o proteggere le prove. La regola vorrebbe che la pena intervenisse al termine del giudizio.
Terminato il processo, dunque, inizia la fase dell’esecuzione. Per le cronache è la Cenerentola del processo penale. Finito il clamore suscitato dall’evento e trascorsi spesso anni dai fatti, il colpevole si ritrova a dover entrare in un istituto penitenziario dimenticato da tutti.
Eppure questo è il momento più importante. Infatti, finito il processo, spenti i riflettori, la persona deve intraprendere il percorso indicato dalla Costituzione. Percorso che deve portare alla risocializzazione del condannato.
Distaccandosi da un “giustizialismo” che pare aver aleggiato negli ultimi anni nelle stanze della politica, la Ministra della Giustizia Marta Cartabia ha inteso, con d.m. del 13 settembre 2021, istituire una Commissione con il preciso scopo di innovare il sistema penitenziario della Repubblica Italiana.
Di essa sono stati chiamati a farne parte:

  • Pietro Buffa – Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia;
  • Antonella Calcaterra – Avvocatessa del Foro di Milano;
  • Carmelo Cantone – Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria del Lazio, Abruzzo, Molise;
  • Daniela de Robert – Componente del Collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale;
  • Manuela Federico – Comandante della polizia penitenziaria presso l’Ufficio esecuzione penale esterna di Milano;
  • Antonietta Fiorillo – Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna;
  • Gianluca Guida – Direttore dell’Istituto per minorenni di Nisida;
  • Fabio Gianfilippi – Magistrato di Sorveglianza, Spoleto;
  • Raffaello Magi – Consigliere della Corte di Cassazione;
  • Giuseppe Nese – Psichiatra, Direttore UOC “Tutela della salute in carcere”, ASL Caserta;
  • Sonia Specchia – Segretario generale di Cassa delle ammende;
  • Catia Taraschi – Responsabile Ufficio detenuti Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta;
  • Elisabetta Zito – Direttrice della Casa circondariale “Piazza Lanza” di Catania.
    Tutti nomi illustri, accomunati da una visione dell’esecuzione penale costituzionalmente orientata tesa a rimarginare la ferita sociale prodottasi con la commissione del reato.
    A fine dicembre 2021, al termine dei lavori la Commissione ha pubblicato la relazione finale (rinvenibile sul sito del Ministero della Giustizia). In essa sono contenute molte proposte di rilievo con interventi sia sulla legge e regolamento di ordinamento penitenziario sia sul Codice penale che di procedura penale.
    In ragione del decreto istitutivo, la Commissione ha indicato soluzioni che potrebbero contribuire a migliorare la qualità della vita della persona sottoposta ad esecuzione penale senza dimenticare che la pena non si identifica necessariamente con il carcere e che, anzi, sanzioni e misure diverse da quella detentiva hanno maggiori possibilità
    di produrre effetti per il reinserimento sociale della persona condannata ed evitare il rischio
    di recidiva.
    Il Presidente della Commissione, Marco Ruotolo, ha affermato che l’innovazione deve partire dal preciso assunto che la dimensione spazio-temporale della pena detentiva deve avere come riferimento il muro di cinta del carcere e non la camera di pernottamento. L’intero spazio dell’istituto andrebbe dunque impiegato al meglio per consentire lo svolgimento di attività utili nella prospettiva del reinserimento sociale, dando un senso al tempo della pena. Spazio che potrebbe essere ridotto soltanto per puntuali ragioni di ordine e sicurezza.
    Per la Commissione la qualità della vita in carcere deve essere migliorata per tutti coloro che a diverso titolo vi operano. Il personale – tutto – ha diritto di lavorare in un ambiente decoroso e le istituzioni hanno il dovere di garantire condizioni che permettano alle professionalità presenti negli Istituti di operare in modo sereno ed efficace, in un contesto che assicuri il rispetto dei diritti non solo di chi è recluso ma anche di coloro che sono chiamati a svolgere un compito delicatissimo: accompagnare il condannato nel percorso di reinserimento, di ricostruzione del legame sociale, sempre assicurando l’ordine e la sicurezza.
    Per il miglioramento della qualità penitenziaria sono state formulate diverse proposte tra le quali: la previsione della presenza, per almeno un giorno al mese, di un funzionario comunale per consentire il compimento di atti giuridici da parte di detenuti; l’introduzione di modifiche alla disciplina sulla fornitura di vestiario e corredo e sull’alimentazione, l’introduzione di una disciplina che ammetta i colloqui a distanza, già impiegati in periodo di emergenza pandemica e interventi sul rapporto di lavoro con l’amministrazione penitenziaria.
    Importantissime, ad avviso della Commissione, le nuove tecnologie da qui la proposta che gli investimenti già stanziati debbano essere calibrati al meglio per la realizzazione di impianti necessari al miglioramento delle condizioni di sicurezza, (attraverso sistemi anti-droni, metal detector fissi, body scanner) nonché idonei al mantenimento dei rapporti affettivi (potenziamento dell’utilizzo delle comunicazioni a distanza) o al completamento dei percorsi di istruzione. Apprezzabile, in questo ambito, anche la proposta di realizzazione di totem touch per le richieste dei detenuti (un terminale multimediale che potrebbe sostituire il cartaceo nella gestione delle richieste ed istanze).
    Al fine di agevolare il mantenimento delle relazioni affettive, la Commissione ha proposto l’introduzione della possibilità di disporre di telefoni cellulari con facoltà di chiamare solo numeri autorizzati da parte dei detenuti salvo vi siano particolari esigenze cautelari, legate a ragioni processuali o alla pericolosità dei soggetti.
    Le nuove tecnologie potrebbero avere un ruolo fondamentale anche in tema di salute, infatti la Commissione ha proposto l’implementazione della telemedicina mediante dispositivi di ultima generazione che consentano accertamenti a distanza e la realizzazione del fascicolo sanitario digitale del detenuto.
    La Commissione, sulla base dell’approfondita relazione dell’Avv. Calcaterra e del Dott. Gianfilippi, propone anche interventi che forniscano effettivi rimedi per la tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute.
    Interessanti spunti sono stati forniti anche in tema di formazione del personale. Proposte che ora devono trasformarsi in interventi concreti perchè il carcere non può più aspettare.
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