La diversity negli studi legali? È ancora sulla carta. Se da un lato si moltiplicano iniziative, convegni, premi, manifestazioni dedicate, con una vera e propria corsa allo studio più “impegnato” nelle pari opportunità, dall’altro lato in pochi passano dalle parole ai fatti.
Nelle grandi firm la partnership è infatti ancora saldamente nelle mani degli avvocati uomini, con poche donne che riescono a entrare nella stanza dei bottoni. In media, secondo l’indagine effettuata da Le Fonti Legal sugli studi con oltre dieci partner, ogni cinque soci uno è donna, ma in molti casi ce n’è una su dieci e in altri addirittura le quote rosa tra i partner non esistono. Paradossale il fatto che le due law firm senza soci donna (Allen&Overy e Freshfields) siano di matrice anglosassone, dove la diversity non rappresenta più da tempo un obiettivo da raggiungere. Segno che il problema, in Italia, è di natura strutturale. Per cui, nonostante molti studi amino definirsi “imprese”, che però spesso sono obbligate per restare sul mercato a investire nel concreto nelle pari opportunità, il gap culturale nella professione forense non è ancora stato colmato: mancano adeguate politiche di welfare per le donne-madri in carriera, con la partnership che viene vista sempre più spesso come un ostacolo allo sviluppo della famiglia. L’impegno richiesto ai soci, in molti studi, è infatti spesso “h24” e sette giorni su sette.
Così, se da un lato la vocazione per la “toga” è sempre più “rosa”, con una sempre maggiore percentuale di ingressi di donne in studio nella fase iniziale della carriera, dall’altro lato l’onda è destinata a infrangersi su disparità in termini di guadagno e scelta del part-time per conciliare il lavoro con la famiglia. Quello che non manca, però, sono le iniziative pro diversity, con team dedicati (Hogan Lovells), modalità di reclutamento e gestione dei dipendenti improntate a comportamenti equi (Gatti Pavesi Bianchi), comitati che promuovono il successo di lungo periodo delle professioniste donne (Latham&Watkins), sviluppo degli strumenti di smart working (Pavia e Ansaldo). Il problema resta tradurre le politiche nel concreto, raggiungendo la parità di genere anche nella partnership. D’altronde, è questa la strada obbligata per la modernizzazione delle professioni in Italia.