Lo studio legale 2.0 tra rischi e opportunità

La gestione elettronica dei documenti e la condivisione delle informazioni hanno migliorato il lavoro e ottimizzato i tempi, ma accanto ai vantaggi della digitalizzazione si aprono nuovi scenari

Il 30 giugno 2014 il ministero della Giustizia ha introdotto il Processo civile telematico (Pct) nell’ordinamento giuridico italiano. Un passo avanti per la professione forense che fino a pochi anni prima denotava una totale arretratezza tecnologica,
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Ma per lo studio legale tradizionalmente concepito, legato ai vecchi sistemi di comunicazione e agli obsoleti strumenti di raccolta dei dati, la necessità di adeguarsi a un mondo sempre più digitalizzato è emersa ben prima dell’arrivo del Pct. Negli ultimi dieci anni, sia per il volume crescente di dati e informazioni sia per una stringente esigenza di abbreviare i tempi, gli studi legali, chi prima chi dopo e con un po’ di reticenza, si sono sempre più avvicinati alle nuove tecnologie. Proprio come una struttura aziendale, hanno investito in progetti, strategie e servizi che hanno consentito di semplificare, razionalizzare e velocizzare il lavoro attraverso la gestione e la conservazione elettronica dei documenti, l’uso della firma digitale e la condivisione delle informazioni in apposite banche dati. 
Ma accanto ai numerosi vantaggi che la digitalizzazione ha portato, c’è l’altra faccia della medaglia, quella dei rischi e dei limiti che comporta. Rischi associati prevalentemente alla sicurezza delle informazioni, al rispetto della privacy, all’aggiornamento continuo di strumenti e software e a ingenti investimenti economici legati a quest’ultimi, che non tutti possono permettersi. 
La tavola rotonda organizzata da Legal dal titolo «Tecnologie, strategie digitali e privacy. Lo studio legale 2.0», moderata da Angela Maria Scullica, direttore responsabile delle testate economiche di Le Fonti, ha sviscerato opportunità e criticità dell’evoluzione tecnologica nello studio legale, con un occhio al confronto tra Italia e Europa. Alla tavola hanno partecipato Gianluca Campus di Franzosi Dal Negro Setti, Luca Egitto di R&P Legal, Luca Failla di LabLaw, Caterina Flick di Nunziante Magrone, Denis Fosselard di Ashurst, Marco La Mattina di SLS Avvocati e Aldo Palumbo di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci. 
A che punto siamo in Italia con il processo di digitalizzazione? Quali novità e quali cambiamenti apporterà l’introduzione dell’ordinamento europeo?
CAMPUS Si dice spesso che l’Italia sul digitale non sia all’avanguardia, ma almeno da un punto di vista normativo, per quanto mi risulta, l’Italia è sempre stata attenta alle innovazioni: la prima normativa sulla firma digitale è arrivata in Italia alla fine degli anni ’90 (col Dpr 513/1997). Le prime sentenze di omologa da parte di tribunali degli statuti societari che introducevano l’utilizzo degli strumenti di telecomunicazione per le riunioni assembleari e di cda delle società di capitali risalgono anche a prima del 2000, prima ancora, quindi, che ci fossero norme ad hoc nel nostro ordinamento. Siamo stati precoci, ma la digitalizzazione non sempre è stata un percorso attento ai trend tecnologici e normativi e a quanto stesse succedendo all’estero. Così nel giro di pochi anni abbiamo dovuto rivedere le norme nazionali in base alle direttive europee sulle firme elettroniche o alla direttiva sui diritti degli azionisti, che avevano una prospettiva tecnologica e normativa diversa dalle norme nazionali. 
FOSSELARD Riguardo al processo comunitario, la Corte di giustizia dell’Ue consente da tempo (pur non essendo obbligatorio) il deposito telematico dell’insieme degli atti della procedura. È tuttavia chiaro che la Corte di giustizia dispone di risorse finanziarie molto importanti che le permettono di effettuare gli investimenti necessari a far funzionare un tale sistema. Al contrario, le poche volte che mi sono interfacciato con la giustizia civile italiana mi sono imbattuto in alcuni ostacoli, in quanto la procedura è al contempo sia telematica sia cartacea, dal momento che il giudice chiede spesso alle parti di depositare comunque atti e/o documenti in forma cartacea. Ciononostante, non mi risulta che sotto il profilo normativo l’Italia sia in ritardo rispetto ad altri Paesi europei come il Belgio. Gli investimenti da parte degli studi legali in soluzioni It sono ormai strettamente necessari. Tuttavia, lo studio legale di domani non potrà che offrire, come già oggi avviene, un servizio focalizzato sul lavoro del singolo professionista e un valore aggiunto rispetto a soluzioni in house e/o prodotti informatici, banche dati ecc.
LA MATTINA Lo sforzo del legislatore indirizzato verso una gestione interamente telematica del processo civile è certamente apprezzabile. Purtroppo però le intenzioni devono scontrarsi con realtà giudiziali che non sembrano essere favorevoli: mi è capitato di leggere ordinanze con cui i giudici invitavano le parti a depositare la documentazione e gli atti, oltre che in formato digitale anche in formato cartaceo; addirittura in una sentenza dell’anno scorso del tribunale di Milano una società è stata condannata al pagamento di 5.mila euro per non aver depositato la copia cartacea di cortesia degli atti. Al di la di ciò ritengo che si debba perseverare verso la completa digitalizzazione del processo civile. L’esperienza del nostro studio legale è un po’ sui generis: prestando assistenza a realtà italiane e multinazionali con una notevole mole di pratiche, è stato creato direttamente dalla società cliente un software gestionale proprietario. Il singolo avvocato quindi accede direttamente al portale e gestisce la posizione senza alcun supporto cartaceo: tutto viene caricato direttamente da remoto, direttamente dalla società cliente. Al conferimento di un nuovo incarico, di sua modifica o variazione, il sistema automatizzato invia una notifica push e il singolo avvocato che ha in gestione la posizione viene informato della variazione. Il sistema quindi “dialoga” con lo studio legale, o meglio la società cliente comunica con lo studio attraverso sistemi automatizzati. Diciamo che in realtà multinazionali di ingenti dimensioni il contatto telefonico con il cliente è ridotto ai minimi termini, diversamente da come avveniva in passato quando nucleo dell’attività legale era il rapporto personale cliente-avvocato. Queste modalità operative assicurano una gestione particolarmente semplificata e annullano di fatto ogni possibile errore.
EGITTO Con il processo telematico lo studio legale non vede mutare radicalmente la propria posizione dal punto di vista del trattamento del dato personale né la tipologia del dato né la fisionomia dello studio stesso. È però vero che la digitalizzazione del processo civile comporta un incremento del volume generale di traffico e della mole di dati trattati, fenomeno che determina l’intensificarsi dei rischi per la sicurezza e impone un potenziamento dell’attenzione sul tema della sicurezza e delle relative misure che vengono applicate. Inoltre cambiano gli strumenti con cui trattiamo i dati, strumenti che hanno delle comodità evidenti ma anche dei pericoli maggiori rispetto a quando la pratica esisteva esclusivamente in forma cartacea. Diviene dunque centrale la capacità o meno dell’infrastruttura informatica statale di ricevere tutta questa mole di dati: sono state introdotte diverse novità di tipo tecnologico, è stato digitalizzato il processo civile, la tutela doganale, la costituzione delle start up, tuttavia dal punto di vista meramente tecnologico l’infrastruttura messa in piedi dallo Stato zoppica o non regge e non pare in grado di sopportare la mole di dati generata dagli utenti. Ne deriva dunque un visibile ed enorme divario tra i sistemi delle istituzioni private, degli studi legali e delle aziende, contraddistinti da un notevole avanzamento tecnologico, e i sistemi antiquati e spesso inadeguati delle istituzioni pubbliche o delle cancellerie, spesso caratterizzati da strumenti tecnici che presentano serie difficoltà nella comunicazione e nella ricezione di informazioni e nella gestione di elevati volumi di dati.
PALUMBO A mio parere il processo civile telematico ha portato alcuni vantaggi come la maggior rapidità di accesso ai documenti di causa, il guadagno di tempo nelle costituzioni e l’eliminazione, in gran parte, dell’attività dei corrispondenti. Tuttavia permangono alcune criticità: la complessità della procedura per il caricamento dei documenti, la differente efficienza delle cancellerie (per esempio Torino e Brescia sono estremamente rapide) nell’aggiornare il fascicolo telematico, le informazioni, ancora incomplete, cui ha accesso l’utente (una cosa importante sarebbe poter sapere se qualcuno ha avuto accesso al fascicolo telematico dopo la sua formazione). Molto delicata infine è la tematica delle notifiche via Pec, soprattutto da un grado di giudizio all’altro, poiché dal momento in cui viene notificato un atto sulla Pec, che è esclusivamente individuale, decorrono i termini decadenziali previsti dal procedimento di cui si parla, e se la notifica venisse effettuata esclusivamente all’indirizzo di un collega che nel frattempo ha lasciato lo studio, potrebbe originarsi un grosso problema.
FLICK Da avvocato penalista, la realtà che fotografo è quella a me più vicina, ovvero quella del processo penale dove la digitalizzazione, a differenza di quanto avvenuto nel processo civile, è ancora molto lontana dall’essere effettivamente attuata. Alcune procure hanno effettivamente avviato il processo, ma nella gran parte di casi l’informatizzazione degli uffici giudiziari ha portato come unico risultato all’invio per posta elettronica della copia dei verbali di udienza e in alcuni casi alla possibilità di effettuare verifiche sul registro degli indagati. Il nostro codice privacy dal punto di vista astratto è comunque abbastanza avanzato e pertanto ritengo che a partire dal 2018, quando l’ordinamento europeo entrerà pienamente in vigore, diverranno efficaci eventuali ulteriori obblighi e adempimenti, per esempio la nomina dei privacy officer, ovvero delle persone addette a monitorare la privacy all’interno delle aziende. Per quello che riguarda i principi, invece, non ci saranno sostanziali novità. Anche le sanzioni in molte occasioni sono già state largamente applicate: in sostanza già esistono tutti i presidi necessari per la tutela della privacy. Anche i grandi studi legali già adesso possono essere considerati titolari del trattamento, a parte, per esempio, il caso di membri dello studio che godono di una totale autonomia di gestione.
Altra tematica molto attuale è legata alla protezione dei dati sensibili anche a fronte del dilagante uso dei social network e dell’archiviazione digitalizzata su server o in cloud. Come affronta il singolo studio legale la problematica della privacy?
PALUMBO Per gli avvocati lavoristi la privacy è un elemento che sta conquistando spazi sempre più importanti nel nostro settore. Per esempio, l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che è stato recentemente modificato per effetto del Jobs act, ha introdotto modalità di controllo sugli strumenti informatici e limiti alla acquisizione e conservazione dei dati acquisiti nel rispetto dei parametri stabiliti dal codice privacy. La privacy, che in realtà è un tema sempre stato presente, ora viene ad assumere una maggiore centralità e acquisterà un peso ancora maggiore in relazione al nuovo strumento contrattuale rappresentato dallo smart working (o lavoro flessibile) nell’ambito del quale anche il singolo lavoratore, e non più solo il datore di lavoro, diventerà direttamente responsabile del trattamento e della conservazione dei dati, sia nel momento in cui lavora all’esterno delle mura, dove è potenzialmente esposto all’attenzione delle persone attorno a lui, sia quando lavora a casa allorché, connettendosi da remoto, deve assicurarsi che gli strumenti informatici usati garantiscano la massima sicurezza e riservatezza dei dati trasmessi.       
FAILLA Dato il rischio di sottrazione di file salvati in cloud, secondo me la cosa fondamentale di un fornitore è la “magnitudo”, intesa come la sicurezza che è in grado di darmi: al di là delle clausole e dello scarico di responsabilità, io voglio avere la garanzia, avvalendomi di un provider grosso, di assicurare ai miei clienti la massima tranquillità e protezione se salvo i loro dati in cloud. È vero che si può perdere il controllo dei grandi cloud se non si ha un rapporto forte con il fornitore; tuttavia adesso con una mole di dati sempre più ingente, i server interni e locali da soli, oltre a essere molto costosi, non sono più sufficienti e necessitano di un rinnovo periodico. Verrebbe da domandarsi se tutti questi investimenti che stiamo facendo sul sito, sulla tecnologia e sulle app sono apprezzati e richiesti dai clienti e se noi siamo in grado di tramutarli in valore aggiunto. Probabilmente la risposta dipende dal cliente e dal settore.             
LA MATTINA In merito alle conseguenze derivanti da un accesso fraudolento ai dati condivisi dalle società clienti, ritengo che il sistema di gestione, per come è impostato, escluda qualsiasi responsabilità sia in capo allo studio legale sia in capo alla società cliente, in quanto, eventuali responsabilità sorgerebbero in capo al cliente fornitore del servizio cloud di condivisione. Questa modalità di gestione interamente digitalizzata è sicuramente una prospettiva positiva per lo studio poiché determina un notevole risparmio di costi soprattutto in relazione all’archiviazione delle posizioni. Ovviamente non si tratta di un processo semplice da realizzare perché necessità, quantomeno nella fase iniziale, di importanti investimenti.
FLICK A mio parere il problema vero per noi è “un problema interno” conseguente alla sempre maggiore digitalizzazione delle attività di avvocati singoli e di studi legali e l’utilizzo sempre più imponente dei sistemi in cloud per l’archiviazione dei dati. Il tema è complesso e di attualità, non solo perché il cloud è caratterizzato da modalità di gestione proprie e diverse dagli altri sistemi (spesso è basato negli Usa e pertanto non concepito per sistemi europei), ma anche e soprattutto perché, per quanto sia un cloud dedicato allo studio legale, c’è sempre un outsourcer che fornisce il servizio rispetto al quale lo studio si può tutelare cercando di prevedere i rischi quanto più possibile nelle clausole contrattuali, sempre che sia possibile negoziarle effettivamente data la loro estrema standardizzazione. Non è da sottovalutare nemmeno l’accentramento della fornitura dei servizi solo in capo ad alcuni fornitori, e di conseguenza il rischio elevato di accesso non controllato tra concorrenti. A proposito dell’archiviazione, sostengo che sarà sempre necessaria la mente umana. Tecniche di archiviazione dell’informazione esistono da tempo e in gran quantità, ma è assai arduo lasciare esclusivamente all’automazione e alla macchina l’intera gestione in quanto un software può partire solo da informazioni di base ed è condizionato da come queste sono state inserite in partenza. Concludo sfatando anche la falsa credenza che con l’aumento della tecnologia si risparmi; semplicemente è l’allocazione dei costi che cambia dato che per ottenere alti livelli di sicurezza occorrono grandi investimenti. Questo, nella gestione delle attività dei nostri studi, si traduce nell’accorpamento degli studi o nel loro ingrandimento: i grandi studi internazionali, infatti, possono investire, mentre quelli piccoli e di provincia si trovano seriamente in difficoltà. Il vero problema non è il costo del singolo dispositivo e del singolo software, bensì il mantenimento di un sistema di sicurezza che sia sempre costantemente aggiornato, e il servizio a esso connesso.
All’interno di questo nuovo scenario che si apre con la digitalizzazione e le nuove normative, come si inserisce la figura dell’avvocato e cosa può fare per non rischiare di essere sostituito dalla macchina?
CAMPUS Quanto all’impatto della tecnologia sul mercato legale, il fatto di essere destinatari di normative che spesso vengono dall’estero forse inciderà sul tipo di mercato legale che avremo nei prossimi anni. Da un certo punto di vista e per certi livelli di specializzazione penso che saranno sempre più richieste figure di respiro europeo. E questo comunque richiede una prospettiva molto orientata ai servizi rivolti ai clienti e una forte attenzione ai temi tecnologici. Penso, per esempio, ad alcuni problemi legati alla documentazione elettronica che ho riscontrato soprattutto nell’ambito di operazioni cross-border, quindi di negoziazioni che coinvolgono partner con base in diversi paesi europei, sebbene in teoria dovremmo essere in un settore ormai armonizzato dalle direttive comunitarie da diversi anni e più di recente dal regolamento comunitario 910/2014. In realtà così non è perché i modelli di sottoscrizione elettronica più diffusi (in particolare alcuni servizi di firma elettronica avanzata di Docusign) vengono da fornitori esteri, spesso sono nati nell’ordinamento americano, e non sono quindi inquadrabili tra le sottoscrizioni elettroniche di maggior sicurezza nel nostro ordinamento, che sono le firme elettroniche qualificate. Le difficoltà sorgono nel momento in cui, trovandoci spesso a lavorare con colleghi di studi esteri, bisogna spiegare loro che nel nostro ordinamento le firme elettroniche avanzate sono valide forme di sottoscrizione ma non hanno tuttora in Italia, nonostante i nuovi provvedimenti, una efficacia probatoria altrettanto forte come quella delle firme elettroniche qualificate.
PALUMBO Per noi come studio lo sviluppo dei database e del knowledge management è molto importante, oserei dire fondamentale. Più in generale, l’intelligenza artificiale non va più concepita come la creazione di un cervello positronico dotato delle stesse capacità di un cervello umano di elaborare un pensiero, bensì come la realizzazione di sistemi in grado di elaborare in modo sempre più efficiente le informazioni raccolte: più l’informazione è completa e più il sistema che vi attinge può fornire validi suggerimenti basati sulle esperienze pregresse. Si può reperire con rapidità documentazione rilevante per l’attività che si sta effettuando (un atto, un parere) inserendo una sola parola chiave, a condizione che, a monte, vi sia stata una raccolta di dati ampia ed estremamente curata, accompagnata da un’opera di indicizzazione efficiente. La conseguenza negativa dello sviluppo delle banche dati e del loro accesso pressoché illimitato fa sì che, molto spesso, informazioni che una volta venivano richieste in via preferenziale all’avvocato, oggi vengano invece reperite autonomamente dai clienti in rete, nonostante spesso siano infarcite di imprecisioni e riferimenti a normative superate. L’avvocato per sopravvivere, da un lato, dovrà essere abile a suggerire al cliente soluzioni sempre nuove e creative, sfruttando le numerose modifiche agli istituti giuridici recentemente intervenute (è il caso del diritto del lavoro) e individuando collegamenti tra di essi; dall’altro, la sua attività dovrà essere contraddistinta da efficienza, con la conoscenza dei costi sostenuti e del margine di redditività.
FOSSELARD Con l’introduzione dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione, il modello piramidale, con tanti collaboratori, figure junior che attraverso le ricerche e la rilettura dei pareri si facevano un’enorme cultura, viene superato. Essendo questo lavoro ormai spesso esternalizzato verso centri di outsourcing legale, la conseguenza per le nuove generazioni è di avere schiere di professionisti sempre più concentrati su delle “nicchie”, sempre più specializzati in modo tale da essere subito efficiente e redditizio. Però in questo modo è molto più difficile sviluppare lo stesso “sapere orizzontale”, che il cliente considera spesso il valore aggiunto più significativo del professionista.
EGITTO Dobbiamo culturalmente abituarci a spiegare qual è la nostra funzione sociale, perché per secoli era data per scontata: l’avvocato era una figura di prestigio che aveva alcune sue prerogative di default, mentre oggi deve giustificare la sua utilità e dimostrare il suo valore aggiunto rispetto ad applicazioni in grado di generare atti, statuti e contratti semplicemente con un clic. Oggi la funzione dell’avvocato non ancora sostituibile è quella di “venditore di tranquillità”, tranquillità che, per ora, un computer non può fornire. Dobbiamo capire come integrarci con l’intelligenza artificiale: sicuramente la nostra arma è il database di conoscenza ed esperienza umana, ma dobbiamo trovare degli strumenti per renderlo il più efficace possibile. Valorizzare la knowledge base di studio limita peraltro i rischi di ultrapersonalizzazione tipici del lavoro del legale: gli studi con la tecnologia giusta possono centralizzare la conoscenza presso la propria struttura e non intorno a un singolo legale, accentuando così la fidelizzazione del cliente sullo studio. Pertanto non ci dovrebbe essere una compartimentazione stagna, in quanto la figura dell’avvocato è ormai integrata nella struttura informatica in cui opera e allo stesso tempo la struttura informatica non può funzionare e non ha senso senza l’avvocato. Personalmente penso che sarà difficilmente evitabile, quantomeno per alcune strutture, divenire dei puri provider di servizi legali, poiché il paradigma tradizionale non può più funzionare e perché oggi si registrano sempre più incarichi che, sebbene eseguibili esclusivamente da un legale, non rientrano negli schemi tradizionali dell’assistenza legale italiana giudiziale ed extragiudiziale e richiedono una capacità di relazione, da un punto di vista tecnologico e culturale, con realtà diverse da quelle italiane. Questo d’altro canto vuole anche dire che ci sono nuove opportunità per i legali e nuove forme di assistenza non codificate e senza precedenti.
FAILLA La vecchia bottega che noi abbiamo conosciuto con telefax, stampanti ad aghi e controlALT non esiste più. Gli studi odierni hanno l’It, l’Hr, l’office manager, tutte figure che l’avvicinano sempre di più lo studio a un’azienda gestita con criteri manageriali. Tuttavia, l’azienda offre prodotti standard per definizione, mentre noi siamo costretti per la nostra professione a offrire prodotti che standard non sono, ossia la discussione, la rappresentazione e l’assistenza; ed è questo che distingue un avvocato dall’altro. Fare l’avvocato è cultura, conoscenza di base ma anche fantasia e improvvisazione e in questo la tecnologia non può aiutare. Da avvocati italiani, noi manteniamo sempre una visione un po’ artigianale del mestiere, essendo convinti che il nostro servizio sia un servizio tailor made, dove si paga il valore del professionista, mentre il brand dello studio è solo a seguire. Purtroppo negli ultimi trent’anni i clienti sono sempre meno disposti a capire questo e a pagare questo: a volte si preferisce un servizio standardizzato del junior associate che non ha valore aggiunto e che non tiene conto di tutte le conseguenze e le variabili. Questa situazione viene perfettamente fotografata dallo studioso Richard Susskind che nel suo libro più recente, Tomorrow’s Layers, pur riferendosi nello specifico al mercato anglosassone, sicuramente più avanzato ma meno tailor made del nostro, afferma che il processo di digitalizzazione e di investimento tecnologico è fondamentale e chi non lo farà, sarà costretto a uscire dal mercato. Il cliente sarà sempre più disposto a comprare servizi tecnologici invece di rivolgersi al singolo avvocato per una consultazione tanto che la digitalizzazione in alcuni paesi come Usa e Regno Unito sta portando a una spersonalizzazione del rapporto con l’avvocato oltre a una diminuzione del numero di avvocati all’interno degli studi proprio perché, se io posso dare delle risposte tramite un database, bisogna solo aggiornare questo database: alla fine rimarranno i partner, con pochi avvocati. Stiamo percorrendo una strada senza ritorno per cui chi non si adeguerà allo sviluppo tecnologico sarà destinato a soccombere, chi non riuscirà a fare investimenti in questa direzione sarà destinato a chiudere.
(Ha collaborato Laura Colnaghi)

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