Modelli organizzativi cross border per le aziende italiane e per quelle straniere operanti in Italia. Il dlgs 231/2001 è infatti applicabile sia alla società italiana che opera all’estero, sia a quella estera con attività in Italia. Di conseguenza, è diventato prioritario strutturare i modelli tenendo presente l’intreccio delle normative internazionali e i circuiti decisionali aziendali delle multinazionali.
A spiegare il cosiddetto approccio cross border in materia di compliance sono Andrea Milani e Silvia Coda, soci fondatori dello Studio Legale Milani Avvocati Associati e con incarichi negli Organismi di Vigilanza di diverse aziende.
Analizzando la compliance sul piano internazionale, quali sono le caratteristiche dei modelli di organizzazione cross border?
La globalizzazione e la transnazionalità delle imprese impongono certamente delle riflessioni in ordine all’applicabilità del dlgs. 231/01 sia all’impresa nazionale operante all’estero, che all’impresa estera operante in territorio nazionale. Il principio generale dell’ubiquità (art. 6 c.p., che rende competente l’Autorità Giudiziaria italiana per il semplice verificarsi sul territorio dello Stato di anche solo un frammento dell’iter di commissione di un reato), unito all’art. 4 del dlgs. 231/01 (per il quale gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero), hanno portato all’arresto giurisprudenziale della sentenza c.d. Boskalis, per il quale il dlgs. 231/01 è applicabile tanto alla società italiana operante all’estero quanto a quella estera operante in Italia. Conseguentemente, l’adeguata strutturazione di modelli c.d. cross border è diventata una priorità per tutte le aziende italiane, come anche per quelle straniere operanti in Italia. La complessità dell’approccio al modello cross border è evidente, solo che si pensi all’intreccio di normative internazionali, piuttosto che ai circuiti decisionali aziendali delle multinazionali (peculiarità, peraltro, che si innesta anche sul tema della responsabilità 231 “di gruppo”). Il modello cross border, di conseguenza, deve mappare adeguatamente i processi aziendali a tutti i livelli, con attenzione ai reati presupposto previsti sia nel territorio nazionale che internazionale, andando poi a disegnare adeguatamente i confini di operatività dell’organismo di vigilanza e i rapporti tra gli organismi di vigilanza delle varie sedi/branches/subsidiaries.
Qual è stato l’impatto della Pandemia sui compiti e sulle responsabilità dell’Organismo di Vigilanza?
La pandemia ha certamente comportato un acuirsi dei rischi 231 sotto molti profili: dalla criminalità informatica ai reati contro Pubblica Amministrazione, dai reati societari a quelli in materia di industria e commercio, la gestione delle imprese in epoca emergenziale ha visto (e vede) una estrema sollecitazione dei presidi di controllo; per non parlare dei rischi in materia di salute e sicurezza. In questo frangente, gli Organismi di Vigilanza sono stati chiamati ad una intensificazione delle attività, peraltro con tutte le difficoltà del caso legate all’attività a distanza. Sul punto, lo Studio (in persona di Andrea Milani, componente del Consiglio Direttivo dell’AODV231), ha avuto il privilegio di procedere alla stesura (a quattro mani con il Presidente Onorario dell’Associazione – Bruno Giuffrè) del position paper dell’AODV231 dal titolo “Doveri e ambiti di attivazione dell’OdV in relazione al rischio di contagio da Covid-19 nelle aziende”, avente proprio l’obiettivo di supportare le attività degli OdV nell’era pandemica.
Quali sono gli effetti dell’estensione della responsabilità amministrativa ai reati tributari e in che modo le imprese possono tutelarsi da questi nuovi rischi?
Occorre premettere che il tema della compliance fiscale non poteva ritenersi del tutto estraneo al mondo 231 nemmeno prima dell’introduzione nel catalogo 231 dei reati tributari: infatti, la necessità di prevenire altre fattispecie di reato sensibili (reati societari, corruzione, riciclaggio, autoriciclaggio etc.), già comportava l’esigenza di presidiare l’area fiscale. La diretta previsione dei reati tributari nel catalogo, quindi, pone l’accento su temi che un adeguato modello organizzativo già dovrebbe trattare. Innegabile tuttavia che oggi siamo in presenza di rischi diretti (e direttamente sanzionabili) che comportano la necessità a che i modelli, oltre a recepire formalmente i nuovi reato presupposto, vadano a prevedere specifici protocolli preventivi nella materia fiscale, attraverso il rafforzamento dei presidi aziendali in materia e la previsione di adeguati flussi informativi che consentano all’OdV di disporre delle necessarie informazioni. Non ci si può, peraltro, limitare alla gestione dei processi aziendali strettamente fiscali, ma si deve necessariamente prestare attenzione anche a quelle attività prodromiche che sono alla base della corretta instaurazione dei rapporti con gli emittenti e/o utilizzatori di fatture: dalla selezione dei fornitori, alla verifica circa il puntuale adempimento delle prestazioni attive e passive.
Il tema “modelli 231” continuerà ad accompagnare le imprese anche nel prossimo futuro. Quali saranno a vostro avviso le evoluzioni della materia? Tornerà ad approfondirla nelle prossime iniziative editoriali Le Fonti?
Al di là delle varie proposte di riforma, l’auspicio – che si spera non sia mera utopia – è di una integrale ristrutturazione del dlgs. 231/01, atta a superare alcuni corti circuiti logico-giuridici e – soprattutto – a fornire ai giuristi e alle imprese un sistema normativo caratterizzato da chiarezza e certezza, indispensabili anche per sollevare gli organi inquirenti e giudicanti da escursioni interpretative che rischiano di essere, di fatto, “legiferative”.
I temi 231 sono tanti e tali che, a nostro modo di vedere, solo con il confronto costante con gli operatori della materia e le fonti dottrinali e giurisprudenziali è possibile essere quantomeno aggiornati e preparati per supportare le imprese nel difficile mondo della compliance 231.