Mog 231 strategico nell’attività di risk management

Francesco Amendolito, founder dello studio legale Amendolito & Associati, ha tracciato un bilancio sull’attuale adeguamento delle imprese italiane ai modelli 231.

L’adozione di un efficace Modello di organizzazione, gestione e controllo è la prima garanzia del rispetto dei principi di compliance, anche in vista dell’entrata in vigore del nuovo codice della crisi di impresa. A sostenerlo è Francesco Amendolito, founder dello studio legale Amendolito & Associati, che ha tracciato anche un bilancio sull’attuale adeguamento delle imprese italiane ai modelli 231.

Siete uno Studio focalizzato sul diritto del lavoro, in che modo seguite le imprese anche nell’ambito 231?
Lo Studio, pur godendo di una professionalità riconosciuta nell’ambito labour, ha, nel corso degli anni, ampliato la propria sfera di operatività a pressochè tutti i settori della consulenza aziendale, ivi incluso quello legale (es. amministrazione del personale e payroll); va da sé che l’estensione delle attività alla compliance 231, che pur presenta un forte legame con il diritto del lavoro sotto il profilo della riorganizzazione aziendale, ivi inclusa la ridefinizione delle jobs, ha rappresentato un approdo naturale del percorso di crescita che lo Studio ha avviato da anni.

Quali sono le principali novità in materia di responsabilità ex d.lgs. 231/2001?
I profili di novità, nel settore della responsabilità 231, possono essere idealmente suddivisi in due tipologie.
Il primo, di stampo normativo, è rappresentato dal costante arricchimento dei reati dalla cui commissione può derivare la contestazione della responsabilità ex d. lgs. 231; ciò a riprova della sempre maggiore attenzione che il legislatore riserva alle fattispecie criminose che possono essere integrate nel perseguimento dei business aziendale. Il secondo, invece, di natura prettamente applicativa, è dato dal rilevante incremento del numero delle contestazioni della responsabilità 231 da parte delle Procure italiane. Tale trend di crescita, infatti, seppur non in maniera omogenea sull’intero territorio nazionale, consente di affermare la rinnovata centralità di un intervento normativo ormai risalente nel tempo. Per altro verso, è opportuno rimarcare i possibili punti di contatto tra il d. lgs. 231/2001 e la nuova disciplina della crisi d’impresa.
Quest’ultima conferma l’approccio, già affermatosi con la riforma del diritto societario del 2003 e con il d.lgs. n. 231/2001 in materia di responsabilità “penale-amministrativa” degli enti, che normativizza le best practices aziendali quali requisiti di valutazione premiale. Infatti, nella prospettiva del legislatore, l’attività di risk management rappresenta il nodo centrale dell’organizzazione aziendale. Quest’ultima richiede un approccio sistemico capace di cogliere i profili di rischio d’impresa nella loro complessità, al fine di farvi fronte con procedure tra loro coordinate e dotate di effettività. In tale orizzonte, l’adozione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex d.lgs. 231/2001 può rappresentare una garanzia fondamentale per l’azienda che aspiri ad essere compliant anche con l’art. 2086, comma 2, c.c. Ciò in quanto il Modello 231 declina i principi di trasparenza e responsabilizzazione in quasi tutti i campi di operatività dell’impresa. Più nello specifico, la costruzione di un efficace Modello 231 non può prescindere da due attività necessarie anche per l’adozione di assetti organizzativi adeguati ex art. 2086 c.c.: 1) la mappatura di rischi aziendali, anche legati alla gestione delle scritture contabili e dei flussi finanziari;
2) la definizione di protocolli decisionali basati sulla separazione delle funzioni. Inoltre, l’Organismo di Vigilanza ex d.lgs. 231/2001 può essere – di fatto – un supporto prezioso per l’organo di controllo, sempre più onerato dal Legislatore di responsabilità.

Quali le maggiori criticità che stanno riscontrando le imprese nell’applicazione dei modelli 231 e quale ruolo riveste il consulente nell’affiancarle?
La principale criticità è rappresentata dalla resistenza che talune compagini societarie mostrano dinanzi all’applicazione dei protocolli 231. Le risorse aziendali, talvolta, non apprezzano fino in fondo l’importanza di regolare le attività a rischio-reato; in altri casi assistiamo a realtà societarie organizzate solo formalmente sul crinale dei processi aziendali, che, tuttavia, nel concreto, mostrano di non rispettare i protocolli precedentemente formalizzati ed adottati. In tale cornice il ruolo del consulente è duplice: da un lato, analizzare i processi produttivi al fine di individuare i profili di rischio per poi governarli; dall’altro, accompagnare le società nell’attività di compliance, attraverso una costante attività di formazione e di guida nell’applicazione dei protocolli.

Come sta procedendo l’adeguamento delle imprese italiane ai modelli 231? È possibile fare una valutazione in prospettiva?
Abbiamo appurato una crescente sensibilità verso il tema dell’adeguamento dei processi aziendali nella prospettiva della compliance 231, accentuatasi con il codice della crisi d’impresa.
Infatti, anche grazie all’esperienza 231, è stato possibile, da un lato, plasmare il concetto di adeguatezza della struttura organizzativa e, dall’altro, traghettare nella quotidiana amministrazione d’impresa tale principio consacrato, nel nuovo art. 2086 c.c., post Codice della Crisi d’impresa, a paradigma comune, obbligatorio, a tutte le imprese. La governance societaria auspicata dall’art. 2086 c.c. carpisce l’essenza innovativa della 231, ovvero il suo modus operandi, il voler perseguire i suoi scopi attraverso l’organizzazione di impresa, declinata in processi e procedure. La pur seria necessità di prevenire la commissione di reati, da una parte, e la crisi d’impresa, dall’altra, non richiederebbero di per sé il complessivo ripensamento della struttura organizzativa, se non per generare valore nel lungo termine e perseguire un successo sostenibile. Perché il vero obiettivo di un’adeguata organizzazione d’impresa, come insegna l’esperienza 231, non può essere concepito in negativo, come mancato avveramento di uno scenario non voluto, ma anzi deve essere elaborato, in positivo, come raggiungimento di un traguardo più lontano. Posto che eludere un rischio non può ritenersi sempre possibile, un amministratore deve “anticiparlo”, ovvero collocarlo in prospettiva, per prevenirlo o quantomeno contenerne gli effetti. La strategia migliore per conseguire questo risultato non può che essere l’implementazione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, mutuando l’insegnamento e la tecnica messa a punto in questi venti anni di applicazione del d.lgs. 231/2001.

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