La carriera delle donne negli studi legali d’affari è ancora a ostacoli. Pur rappresentando quasi la metà degli iscritti all’albo degli avvocati, oggi le professioniste che ricoprono posizioni apicali nelle law firm sono in misura nettamente inferiore rispetto ai colleghi uomini, hanno stipendi più bassi e in alcune realtà non sono mai arrivate alla partnership.
Le ragioni del gap sono molteplici e attengono per la maggior parte a una impostazione culturale, tipica del nostro paese, dove i pregiudizi sulle donne in carriera prevalgono rispetto ai diritti, specialmente quando la crescita professionale coincide con il periodo della maternità o con gli anni immediatamente successivi. La necessità di coniugare lavoro e famiglia, infatti, è il principale ostacolo alla partnership delle donne avvocato e la ragione dietro alla scelta di ridurre l’impegno lavorativo rinunciando di fatto alla carriera, in assenza di adeguate politiche di welfare. Per fare il punto sulla crescita professionale delle quote rosa nei principali studi legali, Le Fonti Legal ha esaminato la percentuale di donne partner e le strategie di inclusione. I dati emersi non sono incoraggianti: tra i maggiori studi legali considerati, il numero di donne partner supera quello degli uomini in un solo caso: in Trevisan & Cuonzo, dove su 10 soci, 6 sono donne; a seguire Toffoletto De Luca Tamajo, con una percentuale di quote rosa pari al 40% sul totale dei partner, e Pavia e Ansaldo con il 28%. Emblematico il caso di Gop, l’insegna con il più alto numero di soci (110) ma con una percentuale di donne ai vertici che arriva appena al 16%, mentre in Allen & Overy e Freshfields la partnership è presidiata in toto dal genere maschile.
Per quanto riguarda le politiche di diversity promosse dagli studi, le più diffuse riguardano l’adesione ad associazioni senza scopo di lucro, oppure l’organizzazione di comitati interni, seminari e incontri per promuovere l’inclusione e favorire la rappresentanza delle professioniste. Alcuni studi, inoltre, garantiscono le pari opportunità già nella fase di recruitment, altri ancora facilitano l’equilibrio famiglia-lavoro attraverso agevolazioni come lo smart working.
Politiche pro Diversity
In Hogan Lovells esiste un diversity team che riunisce alcuni avvocati e funzioni di staff, che si occupa di diversità di genere, orientamento sessuale, Lgbt, sia con training interni che con eventi, pubblicazioni, seminari e tavole rotonde aperte al pubblico. «A livello internazionale», afferma Leah Dunlop, responsabile per l’Italia del progetto «più di 50.000 ore vengono dedicate al sostegno della diversity, del mondo femminile e della parità di genere». L’insegna, inoltre, è parte attiva in associazioni come Club30% in Italia, Professional women network e Parks Liberi e Uguali. Di quest’ultima fa parte anche Toffoletto De Luca Tamajo dove, come racconta Paola Pucci «molte socie sono impegnate a livello internazionale sui temi della diversity, del gender pay gap, intervenendo a numerosi incontri di confronto anche nell’ambito di Ius Laboris, la più grande alleanza di specialisti in diritto del lavoro del mondo». In Gatti Pavesi Bianchi, come spiega Paola Tradati, «vengono adottate modalità di reclutamento e gestione dei dipendenti e collaboratori improntate a comportamenti equi e coerenti, prevenendo favoritismi, abusi e discriminazioni basate su genere, etnia, religione, appartenenza politica e sindacale, lingua, età o diversa abilità».
«Latham & Watkins in Italia è impegnato nel Women affinity group e nel Parent lawyers affinity group e abbiamo un rappresentante locale del Diversity leadership committee, organo di coordinamento che si occupa di promuovere a livello globale policy e iniziative legate alla diversity», racconta Maria Cristina Storchi. La law firm ha inoltre istituito il comitato Web (acronimo di women enriching business) di cui fanno parte indistintamente partner, counsel e associate, che ha come obiettivo l’investimento nel successo di lungo periodo delle professioniste donne attraverso la creazione di opportunità di networking e di business. Trevisan & Cuonzo punta sulla diversificazione della squadra: «La soluzione di problematiche complesse richiede spesso un approccio innovativo e pertanto riteniamo che un team diversificato, formato da professionisti con esperienze e background diversi, sia più idoneo a fornire la necessaria assistenza», dice Julia Holder.
Pavia e Ansaldo promuove la conciliazione tra carriera, genitorialità ed impegni familiari, mettendo a disposizione delle professioniste tutti i migliori strumenti di smart working: «Nello studio i Comitati di gestione sono costituiti in modo da assicurare la presenza sia di uomini sia di donne e sosteniamo attivamente i diritti delle donne attraverso iniziative pro bono e responsabilità sociale», afferma Elena Felici. Anche le insegne di piccole dimensioni sono sensibili al tema: «Nel caso di Lexant essendo la struttura guidata da due soci, l’uno uomo e l’altro donna con peculiarità molto diverse e distinte fra loro, e nel contempo sinergiche, ritengo che i collaboratori non avvertano diversità di genere. In ogni caso lo studio non ha mai fatto differenze di genere nel rapportarsi a loro, rispettando le esigenze e le peculiarità di ciascuno come individuo e non in quanto uomo o donna», spiega Anna Caimmi.
Littler, nonostante non abbia partner donna, promuove l’inclusione attraverso la condivisione di video sulla propria pagina linkedin e tramite una ricerca che indaga sull’effetto del movimento #MeToo all’interno delle aziende europee.
Ostacoli alla carriera
Per quanto un avvocato su due sia donna, «vi sono ancora situazioni di disparità in termini di guadagno, ruoli apicali e decision making» afferma Tradati, mentre Lidia Scatanburlo di Dwf parla di «mancata sensibilità e attenzione ai temi della maternità» a cui si aggiunge «la tendenza ad un sistema di cooptazione (soprattutto per i ruoli apicali) che tende a favorire gli uomini. Ciò dipende sia dal fatto che le posizioni di partners sono ricoperte in gran parte da uomini e sia dal fatto che i valori sulla base dei quali viene effettuata la valutazione del singolo professionista sono prettamente il frutto di una cultura ancora non ispirata alla diversity». Secondo Carlo Majer di Littler la maggiore problematica che incontrano gli avvocati donna nella crescita professionale è legata soprattutto alla conciliazione famiglia – lavoro. Un problema, questo, che a detta di Pucci è ancora presente ma che appartiene al passato: «oggi c’è più riconoscimento del ruolo da parte dei clienti, questo anche grazie al fatto che sempre più responsabili di uffici legali e, per quanto ci riguarda, anche responsabili del personale, sono donne. In passato, acquisire credibilità non era così facile e immediato».
Anche Holden riconduce le principali problematiche al tema della maternità: «spesso la gravidanza e il periodo immediatamente successivo alla nascita dei figli possono rappresentare un ostacolo alla crescita professionale per un avvocato donna, perché non potrà garantire la sua completa attenzione anche nell’ambito lavorativo. Recentemente la situazione è migliorata grazie al supporto dei padri che riescono e sono disposti ad usufruire del periodo di congedo parentale, in questo modo aiutando la propria compagna a rientrare, comunque non senza difficoltà, nel mondo del lavoro. In Italia, peraltro, esistono ancora pregiudizi sulla donna in carriera, specialmente in concomitanza con i primi anni d’infanzia dei figli. Non è raro che queste circostanze, unite alle oggettive difficoltà nel trovare un equilibrio tra attività lavorativa e impegni familiari, portino molte donne a scegliere il part-time, ciò che di fatto implica una vera e propria rinuncia alla carriera». Secondo Dunlop sarebbe utile promuovere strumenti che favoriscono, e facilitano, una maggiore partecipazione femminile nello studio e nella sua gestione, «tra cui il lavoro flessibile o da remoto, di grande sostegno alle avvocate (ed anche ai colleghi maschi) durante le diverse fasi della loro vita professionale e la trasformazione di rete di contatti e di mentoring, originalmente orientati sugli uomini, a modelli meno discriminatori». Caimmi si sofferma sul problema della credibilità: «Il cliente, soprattutto quando rappresenta una figura apicale nelle società e anche se donna, di primo acchito ancora preferisce un legale uomo, convinto di parlare la stessa lingua, salvo poi ricredersi quando realizza che, forse per “natura” un legale donna ha doti di precisione e di preparazione spesso più spiccate del legale uomo».
Il gap con il Regno Unito
Rispetto ai paesi anglosassoni, il nostro è ancora un passo indietro nella valorizzazione delle diversità. «In Italia vi è sicuramente una minore sensibilizzazione sul tema», afferma Tradati. «È una questione culturale e che dovrebbe partire dalle istituzioni scolastiche prima ancora che essere affrontata nel mondo del lavoro». Anche Dunlop sottolinea il ritardo con cui il tema della diversity ha preso piede nel nostro paese, «sebbene si possono notare una nuova serie di iniziative, la crescita di figure professionali dedicate e anche una maggiore attenzione da parte dei media sulle tematiche di inclusione». «In Inghilterra», aggiunge Holden «la maggior parte dei solicitors sono dipendenti, cioè non libere professioniste come in Italia, e conseguentemente possono godere di una serie di vantaggi contrattuali connessi alla posizione di lavoratore dipendente che la posizione di “libera professionista” (in Italia ma non solo) non offre alla donna in caso di gravidanza». A detta di Scatanburlo «la marcata attenzione manifestata dai paesi anglosassoni è forse dovuta alle più ingenti sanzioni in cui possono incorrere i professionisti che non rispettano le policy adottate in campo lavorativo». «L’Italia rimane il fanalino di coda in Europa: abbiamo il più alto tasso di disoccupazione femminile pur avendo un elevatissimo tasso di scolarizzazione universitaria, e al contempo il più basso indice di natalità. Il che significa che le donne non fanno figli perché non lavorano e non il contrario», conclude Felice.
La diversity vista dai clienti
A detta di Tradati, «lo sviluppo delle politiche di diversity conta per le multinazionali o per le strutture organizzate che le possiedono e le applicano, ha un peso in fase di accreditamento dello studio come prerequisito, non credo che un professionista venga scelto o meno da parte del cliente su questo presupposto. Come le quota rosa, le politiche di diversity favoriscono la sensibilizzazione ma non risolvono il problema delle disparità». Secondo Dunlop le politiche legate alla diversity sono parte integrante dei valori del business: «in Italia e all’estero viene richiesto, durante la fase di beauty contest, di illustrare le politiche di diversity perché le aziende stesse durante la fase di scelta dei consulenti valutano anche questi aspetti».
Diverse sono le opinioni in Littler e Dwf: per Majer «lo sviluppo di politiche di diversity non orienta in modo incisivo le scelte del cliente, ma è un aspetto che contribuisce ad un corretto clima lavorativo»; per Scatanburlo il cliente italiano, ad oggi, non presta molta attenzione allo sviluppo del tema della diversity nella scelta dello studio legale, né tantomeno in quella del singolo professionista. «L’attenzione alla gender equality da parte dei clienti si riscontra soprattutto nei pitch internazionali», sostiene Pucci «dove vengono valutate anche queste particolari caratteristiche». «Nella nostra esperienza», spiega Holden «abbiamo notato che la clientela maschile molto spesso si trova a proprio agio quando è seguita da un avvocato maschio, così come le clienti donne frequentemente preferiscono collaborare con avvocati donne. La scelta del legale dipende anche dal tipo di lavoro da svolgere: a volte, quando si tratta di contenzioso, l’approccio aggressivo, più frequente ed innato per alcuni uomini, può risultare più efficace, mentre in un negoziato, l’approccio conciliatore e diplomatico di una donna maggiormente portata anche a considerare l’elemento psicologico insito nella questione, può risultare più adatto». Secondo Felici «le multinazionali, mostrano attenzione alle composizioni dei panel di difesa e assistenza al punto che è gradito, se non espressamente richiesto, che nei team i generi siano entrambi rappresentati».
A cura di Federica Chiezzi