Angelo Zambelli, managing partner di Zambelli & Partners, chiarisce due punti chiave della riforma del processo civile contenuti nella Legge Delega del 26 novembre 2021, n. 206, che introduce alcune rilevanti novità anche nel processo del lavoro. A partire dalla misura che riguarda il superamento dell’attuale dualismo processuale per le controversie in materia di licenziamenti. A parere di Zambelli, la prevista abolizione del rito Fornero anche per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 è stata accolta con favore da tutti i giuslavoristi. Ancora, il managing partner di Zambelli & Partners, in questa intervista con Le Fonti Legal, si sofferma sull’estensione dell’utilizzo dello strumento della negoziazione assistita anche in materia di lavoro, previsto sempre dalla Legge Delega n. 206/2021. Sottolineando come il vero carattere innovativo della riforma riguardi la previsione dell’applicazione del regime di stabilità di cui all’art. 2113, quarto comma codice civile, agli accordi sottoscritti nell’ambito della negoziazione assistita. Non sarà quindi più necessario, afferma Zambelli, il passaggio in “sede protetta” per conciliare controversie lavoristiche in cui le parti abbiano ricevuto consulenza e assistenza da parte dei rispettivi avvocati. Entriamo nel dettaglio.
Come si spiega l’abrogazione del cd. Rito Fornero nelle controversie relative ai licenziamenti sebbene siano passati solo dieci anni dalla sua introduzione? Il legislatore che smentisce se stesso?
La riforma Cartabia si propone di rivedere il processo civile con dichiarati obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del contenzioso. Una delle misure più rilevanti che riguardano il rito del lavoro consiste certamente nel tanto atteso superamento dell’attuale dualismo processuale per le controversie in materia di licenziamenti: la notizia della prossima abolizione del rito Fornero anche per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 è stata accolta con grande favore da tutti i giuslavoristi. La nuova norma processuale, infatti, è improntata al principio e al criterio direttivo di «unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro». Com’è noto, il procedimento Fornero è stato introdotto con la legge 92/2012 come processo nuovo e dedicato alle controversie attinenti all’impugnazione dei licenziamenti ex art. 18 S.L. Si fonda sul carattere bifasico del giudizio di primo grado, scandito da una prima fase cd. “sommaria”, caratterizzata da una rapida e celere valutazione finalizzata ad accertare prima facie l’eventuale illegittimità del recesso datoriale, seguita da una successiva ed eventuale fase di “opposizione” a cognizione piena, purtroppo davanti allo stesso giudice (Corte Cost., 13 maggio 2015, n. 78; Cass. SS.UU., 18 settembre 2014, n. 19674).
L’introduzione di questo procedimento speciale rispetto a un rito rapido e perfettamente funzionante, quale è sempre stato il processo del lavoro, ha suscitato forti dissensi fin dall’inizio tanto che, a soli tre anni dalla sua introduzione, con il d.lgs. 23/2015 il cd. Rito Fornero è stato escluso dallo stesso legislatore per l’impugnazione giudiziale dei licenziamenti dei lavoratori jobs act (ovvero assunti dopo il 7 marzo 2015). Per questo motivo, non sorprende la scelta di eliminare un rito già destinato a estinguersi.
Del resto, il frazionamento del giudizio di primo grado per sopperire alle esigenze di celerità che il legislatore del 2012 si proponeva di soddisfare, si è paradossalmente concretizzato nell’introduzione surrettizia di un ulteriore grado di giudizio, sia pure con finalità cautelari (ma senza neppure il vantaggio di avere un giudice terzo e “nuovo”) con il risultato di aggravare ulteriormente un sistema processuale già sovraccarico.
Come valuta la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita anche in materia lavoristica?
In un’ottica di incentivazione all’uso degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, la Legge Delega n. 206/2021 prevede inoltre di estendere lo strumento della negoziazione assistita (D.L. 132/2014, convertito con modificazioni dalla L. 162/2014) anche alle controversie in materia di lavoro. Si supera così il limite normativo che ad oggi esclude la negoziazione assistita per le controversie “in materia di lavoro”.
Il vero carattere innovativo della riforma, tuttavia, verte sulla previsione che agli accordi sottoscritti nell’ambito della negoziazione assistita si applicherà “il regime di stabilità di cui all’art. 2113, quarto comma codice civile”, con l’implicito superamento della concezione per cui solo le sedi pubbliche (Giudici del lavoro, ITL, Commissioni di certificazione) ovvero le organizzazioni sindacali dei lavoratori (su tutte CGIL, CISL, UIL, ma non solo) possano garantire la volontà e consapevolezza del dipendente nel prestare il proprio consenso alla transazione. Ciò significa che non sarà più necessario il passaggio (sin qui obbligatorio) in “sede protetta” per conciliare controversie lavoristiche in cui le parti abbiano ricevuto consulenza e assistenza da parte dei rispettivi avvocati.
Tuttavia, a differenza di quanto previsto per la negoziazione assistita ordinaria – che può perfezionarsi anche in presenza di un solo difensore – in materia lavoristica ciascuna parte dovrà essere necessariamente assistita dal proprio avvocato, considerato che il lavoratore di norma è la parte “debole” del rapporto. Tale novità fa ben sperare circa una definitiva presa di coscienza del ruolo dell’avvocato da parte dell’attuale Esecutivo e dell’ordinamento che ne ha finalmente riconosciuto il valore, incentivando la composizione stragiudiziale delle liti anche lavoristiche con la sola assistenza dei rispettivi legali. In questo modo, si supera una prassi spesso ridotta a un mero adempimento formale che imponeva la sottoscrizione della transazione comunque e in ogni caso nelle sedi previste dall’art. 2113 c.c.