Secondo Federico Sutti in Italia il settore legale è maturo, ma conserva opportunità per chi sa offrire valore aggiunto. Soprattutto per uno studio, come quello che dirige, che a un approccio locale può affiancare il beneficio di un network globale
[auth href=”https://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Gli avvocati sono troppi, ma per chi è in grado di assicurare un valore aggiunto alla clientela le opportunità di crescita non mancano. Vede il bicchiere mezzo pieno Federico Sutti, uno degli avvocati d’affari più noti del panorama italiano, che, al culmine della carriera, ha deciso di rimettersi in gioco, lasciando Dla Piper per curare l’avvio prima e il decollo poi di Dentons nel mercato italiano.
In questa intervista a Legal racconta le ragioni di mercato e professionali che lo hanno spinto a compiere questo passo, fornendo indicazioni utili sull’evoluzione del settore.
Partiamo da uno sguardo d’insieme. Come vede l’evoluzione del mercato degli studi legali d’affari negli ultimi anni?
In Italia il mercato legale è saturo. Questo non solo per l’elevato, direi eccessivo, numero di professionisti (oltre due volte la Germania e tre volte la Francia) ma anche per le diverse e mutate esigenze dei clienti. Le grandi aziende ormai si sono strutturate con team in-house molto specializzati dove tendono a svolgere la maggior parte delle attività core tipiche dell’azienda. Gli onorari hanno avuto una riduzione significativa soprattutto per un aumento eccessivo dell’offerta e una riduzione della domanda. Questo fenomeno tende, a mio avviso, a essere più strutturale che contingente. In questo momento di mercato alcuni settori come in particolare l’energy e il restructuring, che negli ultimi anni avevano assorbito quote importanti del mercato, sembrano essere in contrazione. Allo stesso tempo sta aumentando in modo significativo il distressed m&a e la finanza strutturata. Questo anche in relazione all’importante stock di Npl in pancia alle banche italiane.
Parliamo un po’ di lei. A un certo della sua carriera ha lasciato Dla Piper, tra i non molti studi internazionali che hanno raggiunto un posizionamento elevato nel mercato italiano, e si è fatto carico di far decollare Dentons in Italia. Ci spiega il perché di questa scelta? Ci sono ragioni personali o di altro tipo?
Le motivazioni sono molteplici. In primo luogo sono cambiate le condizioni, in gran parte a causa del cambiamento di alcune persone chiave del senior management dello studio a livello internazionale ma, soprattutto, per una sempre maggiore tendenza alla “centralizzazione” in linea con l’approccio tipico degli studi “magic circle”. Questa è al contrario la proposition di Dentons: mentre la maggior parte dei grandi studi internazionali, sia di matrice inglese sia americana, tendono sempre più a imporre il proprio modello di business in tutti i Paesi in cui sono presenti, Dentons, a mio modo di vedere correttamente, pur essendo uno studio globale si adatta alle esigenze dei singoli mercati, consentendo a ogni practice locale di competere nel relativo mercato con gli studi di riferimento.
Una strategia singolare per far concorrenza ai grandi nomi italiani?
Nel nostro Paese gli studi italiani sono senz’altro ancora gli studi di riferimento. Dentons ha offerto la possibilità di un modello che consente di competere con i più importanti studi italiani e allo stesso tempo di avere il beneficio di un network globale. È il principale motivo che ha consentito negli ultimi 15 mesi di attrarre professionisti provenienti da ben 18 studi diversi. Abbiamo la convinzione di avere l’opportunità di posizionare Dentons tra i primi studi che operano in Italia, non necessariamente per fatturato, ma sicuramente per riconoscibilità.
Negli ultimi mesi lo studio ha rafforzato il team del banking: quali sono le ragioni di questa scelta?
Il banking è una delle aree transactional per lo studio. L’idea per il medio periodo è di creare un team con competenze di alto livello, non solo nelle aree che già copriamo, ovvero prevalentemente acqusition finance, leverage e real estate finance, ma anche nei settori della finanza di progetto e della finanza strutturata, settore quest’ultimo che negli ultimi anni è cresciuto molto e riteniamo possa crescere ulteriormente per almeno i prossimi 3/4 anni.
Quali sono le regole di governance e in cosa si distinguono da quelle dei principali concorrenti?
Dentons è organizzato per country e per dipartimenti. La responsabilità del conto economico dello sudio è in capo al country managing partner locale mentre le aree of practice organizzate verticalmente per Paese hanno come obiettivo lo sviluppo della clientela e il cross-selling interno.
Alcuni studi internazionali hanno chiuso la sede di Roma, reputando la piazza capitolina in declino, per concentrare tutto a Milano: Dentons invece ha aperto anche nella capitale la scorsa estate. Perché?
Roma è sempre stata una piazza abbastanza difficile per gli studi internazionali anche per la limitata presenza di aziende multinazionali. Tuttavia, proprio la riduzione significativa dell’offerta internazionale induce a ritenere che, con l’approccio corretto, nella capitale ci siano spazi di crescita interessanti in quanto ancora c’è una domanda significativa per un prodotto legale internazionale.
Spesso siete a sostegno di iniziative in campo artistico. Cosa vi muove in questa direzione?
Abbiamo ritenuto di rivolgere una parte dei nostri sforzi al supporto di quella parte dell’immenso patrimonio artistico italiano che non riceve le adeguate attenzioni dello Stato per mancanza di fondi o per altri motivi. L’Italia potrebbe valorizzare molto meglio questo grande patrimonio che rappresenta una risorsa infungibile e di differenziazione rispetto a quasi tutti gli altri paesi, non solo in Europa.
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